giovedì 21 luglio 2011

Allarme Istat: la povertà aumenta "Otto milioni di italiani in bilico"


Situazione allarmante che rischia di peggiorare : i dati ISTAT si riferiscono al 2010

il 13,6% della popolazione vive con 900 euro mensili (per due persone) e sale al 4,6% la percentuale delle famiglie che non hanno più i mezzi per assicurarsi beni e servizi essenziali per vivere dignitosamente. Il Sud più in difficoltà con Basilicata, Sicilia e Calabria.

Sono 8 milioni e 272.000 le persone povere in Italia, il 13,8% dell'intera popolazione. 

E' quanto fa sapere l'Istat, aggiungendo che nel 2010 le famiglie in condizione di povertà relativa erano 2 milioni e 734 mila, l'11% delle famiglie residenti. 

L'Istituto spiega che si tratta di quelle famiglie che sono cadute al di sotto della linea di povertà relativa, che per un nucleo di due componenti è pari ad una spesa mensile di 992,46 euro. 

Nel complesso, il 18,6% dei nuclei familiari italiani sono poveri (11%) o quasi poveri (7,6%).

Il dato che più fa paura è comunque quello che riguarda le famiglie che risultano in condizioni di povertà assoluta: sono un milione e 156.000, il 4,6% di quelle residenti nel paese, per un totale di 3 milioni e 129.000 persone, il 5,2% della popolazione.

L'Istat spiega che sono considerate assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore a quella minima necessaria per acquisire l'insieme di beni e servizi considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Si tratta, quindi, spiega l'Istituto dei "più poveri tra i poveri".

Anche tra le famiglie non povere esistono poi gruppi a rischio di povertà; si tratta delle famiglie con spesa per consumi equivalente superiore, ma molto prossima, alla linea di povertà: il 3,8% delle famiglie residenti presenta valori di spesa superiori alla linea di povertà di non oltre il 10%, ma questa quota che sale al 6,7% nel Mezzogiorno. 

Le famiglie "sicuramente" non povere, infine, sono l'81,4% del totale, con percentuali che passano dal 90,2% del Nord, all'87,9% del Centro e al 64,1% del Mezzogiorno.

L'Istat rileva una sostanziale stabilità del fenomeno, sia relativo che assoluto, a rispetto al 2009, ma anche un peggioramento per alcune fasce della popolazione. 

Al Sud, ad esempio, quasi una famiglia numerosa su due è povera. I dati indicano infatti che la povertà relativa aumenta tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), specie se i figli sono piccoli; tra quelle con membri aggregati, ad esempio quelle dove c'è un anziano che vive con la famiglia del figlio (dal 18,2% al 23%), e di monogenitori (dall'11,8% al 14,1%). 

E la condizione delle famiglie con membri aggregati peggiora anche rispetto alla povertà assoluta (dal 6,6% al 10,4%). In particolare, fa notare l'Istituto, nel Mezzogiorno l'incidenza di povertà relativa cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori. Quindi, quasi la metà di questi nuclei vive in povertà relativa.

Dal punto di vista geografico, le regioni più povere sono Basilicata (28,3%), Sicilia (27%) e Calabria (26%). 
Nel Mezzogiorno, il fenomeno ha un'intensità del 21,5% e la spesa media mensile equivalente delle famiglie povere scende a 779 euro. 
Nel Nord e nel Centro i valori sono più alti - 809,85 e 793,06 euro rispettivamente - nonostante l'aumento dell'intensità osservato tra il 2009 e il 2010 (dal 17,5% al 18,4% nel Nord e dal 17,4% al 20,1% nel Centro) a causa della recessione. 
La Lombardia e l'Emilia Romagna sono le regioni con i valori più bassi dell'incidenza di povertà, pari al 4,0% e al 4,5% rispettivamente. 
Si collocano su valori dell'incidenza di povertà inferiori al 6% l'Umbria, il Piemonte, il Veneto, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia e la provincia di Trento.

Lo studio conferma il legame della povertà con il basso livello di istruzione e con la presenza (e la qualità) dell'occupazione: la diffusione della povertà tra le famiglie con a capo un operaio o assimilato (15,1%) è decisamente superiore a quella osservata tra le famiglie di lavoratori autonomi (7,8%) e, in particolare, di imprenditori e liberi professionisti (3,7%).

Fonte : Istat, La Repubblica.it

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