mercoledì 16 gennaio 2013

Sì agli animali domestici in condominio



La legge 220/2012, di riforma del condominio, distingue tra animali domestici ed esotici, affermando la piena libertà di possedere o detenere (per conto di altri) i primi come i gatti, i cani, i criceti, i conigli ecc., estromettendo di fatto la previsione di poter tenere in appartamento i secondi come i serpenti e anche i felini. Rimane la piena responsabilità del proprietario relativamente al controllo e alla custodia del proprio animale soprattutto nelle parti comuni.


L'art. 1138 cod. civ., riformulato

La norma, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 17 dicembre 2012 entrerà effettivamente in vigore il 18 giugno 2013, quindi da quella data il regolamento condominiale non potrà più vietare di possedere o detenere animali domestici in condominio.

Una famiglia su quattro in Italia possiede un animale domestico. Gli animali che vivono in appartamento nel nostro Paese sono circa 45 milioni, dei quali la maggior parte sono cani, seguiti subito dopo dai gatti, poi dai volatili, pesci e roditori.

Il termine domestico ha preso il posto del termine da compagnia inizialmente adottato dal Senato prima degli emendamenti e della sua riformulazione alla Camera, in quanto questa ultima definizione veniva considerata “a rischio”, ovvero un po' troppo ampia, per cui vi era il rischio che per l'appunto il serpente, l'iguana oppure il felino potessero rientrare in questa categoria.

Ma il problema non è stato completamente risolto.

Infatti anche la definizione di animale domestico non trova corrispondenza nei libri o nei trattati giuridici e, quindi, per comune sentire, anche il porcellino o la gallina potrebbero essere considerati tali e, quindi, detenuti legittimamente in condominio.

La ripercussione della norma sui regolamenti esistenti

Questa nuova previsione normativa è stata inserita in base al principio che non deve essere limitato il diritto del proprietario di disporre come crede del proprio bene. Ma è pur vero che un regolamento di natura contrattuale, ovvero approvato con il consenso unanime di tutti i condomini o accettato, sottoscritto e allegato ai singoli atti di compravendita, può imporre vincoli anche sull'uso della proprietà individuale.

In mancanza di una norma transitoria che disciplini i rapporti in essere, la nuova disposizione legislativa trova applicazione solo dal momento in cui entra in vigore, lasciando immutato tutto quanto a essa preesistente. In sintesi, in relazione all'efficacia della legge nel tempo, vige il principio della irretroattività della legge, ossia «la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo» (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile) per cui i rapporti sorti anteriormente alla riforma continuano a mantenere validità ed efficacia.

Ciò significa che un regolamento di natura contrattuale che sia stato redatto ante riforma e che preveda il divieto di possedere animali in condominio continuerà a essere valido ed efficace nei confronti dei condomini anche successivamente all'entrata in vigore della nuova legge, a meno che non venga modificato col consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.

Diversa considerazione pare, invece, avere il divieto contenuto in un regolamento di natura assembleare.

Se, infatti, i proprietari possono prevedere, in applicazione delle facoltà derivanti dal generale principio di “autonomia contrattuale” ex art. 1322 cod. civ., delle regole in grado di comprimere i diritti dei singoli sulle parti di loro esclusiva proprietà ( regolamento contrattuale), lo stesso non può dirsi per quei regolamenti di natura assembleare, ovvero codicistici che, come tali, devono rispettare i dettami contenuti dall'art. 1138 cod. civ., ovvero limitarsi a disciplinare l'uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la gestione e la tutela del decoro architettonico dell'edificio e dell'amministrazione dello stabile.

Un regolamento di siffatta natura potrà quindi disciplinare e regolare la gestione del fabbricato e l'utilizzazione dei suoi beni e degli impianti comuni in esso ricompresi, ma non può disporre delle regole che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai singoli condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà.

Quanto sopra espresso ha trovato pieno accoglimento nella giurisprudenza sia di merito che di legittimità (cfr. Cass. civ., sent. n. 3705/2011; sent. n. 13164/2001 e sent. n. 12028/1993) che, nel corso di questi anni, proprio per le ragioni appena esposte, hanno negato validità al divieto di detenere o possedere animali domestici contenuti nei regolamenti di natura assembleare.

In ogni caso, il regolamento di natura assembleare può essere modificato con la maggioranza stabilita dell'art. 1136, comma 2, cod. civ., ovvero con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.

Sembra proprio che la nuova disposizione che impone il divieto di vietare (consentite il gioco di parole) di possedere un animale domestico in condominio sia stata decisa in virtù del fatto che, nel tempo, il cane o il gatto hanno assunto un ruolo fondamentale nella vita di relazione e di realizzazione dell'essere umano, inteso anche come qualità della vita, riconoscendo agli stessi un preciso valore per la società. Questo diritto a possedere un animale diventa ora un diritto costituzionalmente garantito e, come tale, inviolabile.

Resta comunque il problema della tutela della salute dei condomini che soffrono di allergie o magari di gravi forme di asma provocate dalla vicinanza o dal contatto con gli animali di proprietà dei condomini ai quali la legge consente ora la piena detenzione senza più alcun divieto.

Pur con l'ingresso di questa nuova previsione legislativa, chi possiede un animale continuerà probabilmente a non avere vita facile in condominio.


Fonte: Il Sole 24 Ore

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