mercoledì 24 agosto 2011

La crisi economica italiana 2011 : è possibile uscirne?

Se non son pazzi non ce li vogliamo (al Governo naturalmente)...

Le ultime manovre del Governo per risolvere la crisi prevedono (in sintesi) o l'aumento delle imposte (chi le paga se la gente perde il lavoro e non ci sono più redditi su cui calcolarle?), anche se in settori diversi, l'aumento dell'età pensionabile per i lavoratori (se le aziende chiudono o licenziano la pensione è ormai diventata una pura utopia) o la lotta all'evasione fiscale (combattere l'evasione fiscale ha un senso dove ci sono redditi, qui andiamo proprio a sparare sul morto) oppure la liberalizzazione delle professioni (già c'è abusivismo in condizioni normali figuriamoci in caso di mercato selvaggio).

Tra le altre idee, pensate un po', anche lo spostamento di anniversari importanti per l'Italia (25 Aprile ad esempio, che hanno un significato proprio in quei giorni e non in altri) alla domenica successiva. E' una misura anti crisi questa o una punizione per un reato che non sappiamo neanche di aver commesso?

I signori delle auto blu  a quanto pare non hanno proprio capito in quale paese vivono, tanto meno quali problemi ha e ancora meno sono in grado di risolverli. Pensare poi che questo possa essere fatto in tempi brevi è al di fuori da ogni logica.

I nostri parlamentari in genere hanno una idea dell'Italia completamente distorta e pensano che riducendo il paese in miseria ed i lavoratori in schiavitù, come servi della gleba tartassati da quei quattro o cinque deficienti che hanno i soldi per comprarsi gli schiavi, sia la soluzione del problema.

Tutti i giorni siamo bombardati da statistiche sulla recessione economica in atto: chiusura delle aziende in aumento, aumento dei settori in crisi economica grave, aumento della disoccupazione, diminuzione dei redditi e del potere di acquisto della moneta, aumento delle famiglie alla soglia della povertà, eliminazione dei diritti dei lavoratori, aumento dell'inflazione (ben oltre quella dichiarata sui dati ufficiali), aumento continuo del costo di tutto, dal pane ai vestiti in bancarella, aumento dell'abusivismo in tutti i settori (alla fine per poter mangiare diventa una necessità).

Tra poco saremo tutti sul lastrico tranne i famosi quattro o cinque, per quanto ancora vogliamo stare a guardare la distruzione sistematica ed organizzata del nostro Paese senza reagire?

Ma l'Inno di Mameli non dice ad un certo punto "... l'Italia s'è desta..." ??? 

Quanto ci vuole questa volta perché l'Italia si desti dal torpore degli ultimi decenni e cominci a reagire?

Di seguito le ultime notizie prese dai nostri quotidiani o blog aggiornati.


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"Senza lavoro 1,2 milioni di giovani"  Per Confartigianato è record negativo

Va peggio al sud, Sicilia maglia nera. Ma il livello di disoccupazione in Italia è ovunque altissimo rispetto al resto d'Europa per gli under 35. A stare peggio i ragazzi fino a 24 anni: poco meno del 30 per cento è in cerca di lavoro

ROMA - Disoccupazione giovanile a livelli altissimi in Italia. Sono quasi 1,2 milioni (1.183.000), Infatti, gli under 35 senza lavoro, dato che porta il Paese a registrare un record negativo in Europa. E, a stare peggio, sono i ragazzi fino a 24 anni: il tasso di disoccupazione in questa fascia d'età è del 29,6% rispetto al 21% della media europea. A scattare la fotografia del mercato del lavoro nel nostro Paese è l'ufficio studi di Confartigianato, rilevando che tra il 2008 e il 2011, anni della grande crisi, gli occupati under 35 sono diminuiti di 926.000 Unità. Ma le imprese italiane, nonostante la crisi, denunciano la difficoltà a reperire il 17,2% della manodopera necessaria.

Se a livello nazionale la disoccupazione delle persone fino a 35 anni si attesta al 15,9%, va molto peggio nel mezzogiorno dove il tasso sale a 25,1%, pari a 538.000 Giovani senza lavoro. La sicilia è la regione con la maggior quota di disoccupati under 35, pari al 28,1%. Seguono la Campania con il 27,6%, la Basilicata con il 26,7%, la Sardegna con il 25,2%, la Calabria con il 23,4% e la Puglia con il 23%. Le condizioni migliori per il lavoro dei ragazzi si trovano invece in Trentino Alto Adige dove il tasso di disoccupazione tra 15 e 34 anni è contenuto al 5,7%. A seguire la Val d'Aosta con il 7,8%, il Friuli Venezia Giulia con il 9,2%, la Lombardia con il 9,3% e il Veneto con il 9,9%.

Nella classifica provinciale la maglia nera va a Carbonia-Iglesias dove i giovani under 35 in cerca di occupazione sono il 38% della forza lavoro. Seguono a breve distanza Agrigento (35,8%) e Palermo (35,7%). La provincia più virtuosa è Bolzano dove il tasso dei giovani senza lavoro è pari al 3,9%, seguita da Bergamo con il 5,6%, e da Cuneo con il 5,7%.

Ma la crisi del mercato del lavoro italiano non riguarda soltanto i giovani. Il rapporto di Confartigianato mette in luce un peggioramento della situazione anche per gli adulti. La quota di inattivi tra i 25 e i 54 anni arriva al 23,2%, a fronte del 15,2% della media europea, e tra il 2008 e il 2011 è aumentata dell'1,4% mentre in Europa è diminuita dello 0,2%.

In un contesto così critico, il rapporto rivela paradossi tutti italiani sul fronte dell'istruzione e della formazione che prepara al lavoro. Per il prossimo anno scolastico 2011-2012, infatti, è previsto un aumento del 3% degli iscritti ai licei e una diminuzione del 3,4% degli iscritti agli istituti professionali.

Una strada per facilitare l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro è rappresentata dall'apprendistato. Secondo la rilevazione di Confartigianato gli apprendisti in Italia sono 592.029. In particolare l'artigianato è il settore con la maggiore vocazione all'utilizzo di questo contratto: il 12,5% delle assunzioni nelle imprese artigiane avvengono infatti con l'apprendistato, a fronte del 7,2% delle aziende non artigiane.

FONTE: REPUBBLICA.it


Economia. Industria, ultimi dati Istat: aumentano i costi della produzione

Aumentano anche i prezzi alla produzione dei prodotti industriali. Lo comunica l’Istat che evidenzia un balzo in avanti del 4,3% a giugno scorso rispetto allo stesso mese del 2010, mentre la crescita è dello 0,1% nel confronto giugno-maggio 2011.
Per quanto riguarda i prodotti venduti sul mercato interno, il nostro istituto di statistica
segnala un aumento dello 0,1% rispetto a maggio 2011 e del 4,7% su base tendenziale (è un indice percentuale rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, quindi evidenzia il trend annuale). E ancora: se non si computa il comparto energetico gli incrementi sono pari, rispettivamente, allo 0,1% e al 4,1%.
Passiamo ai beni venduti all’estero: qui l’aumento è dello 0,2% sul mese precedente (+0,1% per l’area euro e +0,3% per l’area non euro) e del 3,5% rispetto a giugno 2010 (+4,0% per l’area euro e +3,2% per l’area non euro).
Cosa ha contribuito agli incrementi dei beni venduti all’interno dei confini nazionali? Soprattutto l’aumento dei prezzi che hanno subito i prodotti intermedi (2,2 punti in più; per “intermedi” si intendono anche la fabbricazione di prodotti chimici, la fabbricazione di metalli e prodotti in metallo, la fabbricazione di apparecchi elettrici, l’industria del legno, la
fabbricazione di tessuti). Stessa cosa dicasi per il mercato estero sia nell’aerea dell’Eurozona, che all’esterno: la produzione di beni intermedi cresce rispettivamente di 2,2 e di 1,3 punti percentuali.
Infine, l’Istat sottolinea che il settore di attività economica per il quale si rileva la crescita tendenziale dei prezzi più marcata è quello della fabbricazione di coke (carbone derivante dalla distillazione del petrolio) e prodotti petroliferi raffinati, con un incremento del 14,2% sul mercato interno e del 20,5% su quello estero.

FONTE : Redazione Le Novae/mf



Tabella inflazione annua Gennaio 2011 - Luglio 2011

NPeriodiInflazione
annua
Inflazione
mensile
Inflazione Media
Valore parziale
Indice AlIndice Dal
1Gennaio-2010 Gennaio-20112.1%0.4%2.1%138.5101.2
2Febbraio-2010 Febbraio-20112.4%0.3%2.3%138.6101.5
3Marzo-2010 Marzo-20112.5%0.4%2.3%139101.9
4Aprile-2010 Aprile-20112.6%0.5%2.4%139.5102.4
5Maggio-2010 Maggio-20112.6%0.1%2.5%139.6102.5
6Giugno-2010 Giugno-20112.7%0.1%2.5%139.6102.6
7Luglio-2010 Luglio-20112.7%0.3%2.5%140.1102.9
-Inflazione Media annua2.5%------------139.3142.8

FONTE : Rivaluta.it


La povertà delle famiglie italiane e la manovra economica

L’Istat ha pubblicato i dati aggiornati sulla povertà delle famiglie italiane. La recente manovra economica varata dal governo – con ticket sanitari, riduzione dei servizi sociali dei comuni, allentamento complessivo del sistema di welfare – peggiorerà la loro situazione.

In questi giorni l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media si è concentrata sulla manovra finanziaria, anche per la sua dimensione: quarantotto miliardi, a cui se ne devono aggiungere successivamente, entro l’anno, ulteriori venti miliardi. In questa atmosfera politico-mediatica rischia di passare inosservato il Rapporto Istat sulla povertà in Italia, che fotografa la situazione al 2010.

Iniziamo col chiarire la classificazione del fenomeno povertà adottata – sulla base di criteri internazionali - dall’Istat, e le caratteristiche principali che la povertà in Italia ha assunto nel corso degli ultimi anni.

Povertà assoluta

Per definire questa categoria l’Istituto individua un “paniere” di beni ritenuti essenziali, differenziati per classi di età e zona geografica, sia in termini di composizione che di costi. Sono classificate come famiglie povere (cosiddetti “poveri – poveri”) quelle la cui capacità di spesa mensile non raggiunge la soglia minima “necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi essenziali a uno standard di vita minimamente accettabile”. Il numero di famiglie in tale condizione è stimato, nel 2010, pari a 1.156.000.

La incidenza del fenomeno, pari al 4,6% delle famiglie italiane, presenta una notevole diversificazione fra Centro – Nord e Meridione, come rappresentato nella Figura 1.

Figura 1. Povertà assoluta per ripartizione geografica






L’incidenza di tale fenomeno non presenta variazioni significative rispetto al 2009. La povertà assoluta si concentra in larga parte nel Mezzogiorno e il suo “contenimento” nel 2010, rispetto al biennio precedente, si è ottenuto per elementi prevalentemente demografici (composizione dei nuclei familiari) grazie al fatto che nelle famiglie con una persona di riferimento al di sotto dei 65 anni vi è una maggior presenza di coppie con due percettori di reddito.

Tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o laureata – fenomeno nuovo – aumenta la povertà assoluta (dall’1,7% al 2,1%). La condizione delle famiglie con membri aggregati peggiora anche rispetto all’anno precedente (dal 6,6% al 10,4%).

Povertà relativa

La definizione di povertà relativa è correlata agli standard di vita prevalenti all’interno di una data comunità e comprendente bisogni che vanno al di là della semplice sopravvivenza (il “paniere” utilizzato per la povertà assoluta), dipendente quindi dall’ambiente sociale, economico e culturale. In base all’ International Standard of Poverty Line applicata ai dati per la spesa per consumo delle famiglie italiane si definisce povera una famiglia di due persone la cui spesa mensile per consumi è pari o inferiore al consumo medio di un solo individuo. Il numero di famiglie in tali condizioni è pari a 2.734.000, pari all’11% delle famiglie italiane. Anche in questo caso la povertà incide maggiormente nel Mezzogiorno, con uno scarto ancora più ampio di quanto si evidenzia per la povertà assoluta.

Figura 2. Povertà assoluta per ripartizione geografica

Nella Tabella 1 sono riportati i dati della incidenza percentuale per regione. Si evidenzia il peggioramento in alcune regioni del Sud, dove la povertà raggiunge percentuali elevatissime: Basilicata 28,3; Sicilia 27,0; Calabria 26,0

Tabella 1. Povertà relativa: incidenza percentuale per regione nel 2009 e nel 2010.

                                          2009    2010

Piemonte                            5,9    5,3

Valle D’Aosta                     6,1    7,5

Lombardia                          4,4   4,0

P. A. Bolzano                     7,1   9,5

P. A. Trento                        9,7   5,9

Veneto                               4,4    5,3

Friuli V.G.                          7,8    5,6

Liguria                               4,8    6,9

Emilia Rom.                   4,1    4,5

Toscana                         5,5    5,3

Umbria                           5,3    4,9

Marche                           7,0    8,5

Lazio                               6,0    6,6

Abruzzo                             -    14,3

Molise                           17,8  16,0

Campania                    25,1  23,2

Puglia                           21,0  21,1

Basilicata                     25,1  28,3

Calabria                       27,4   26,0

Sicilia                           24,2   27,0

Sardegna                    21,4   18,5

Italia                             10,8   11,0


Il dato, sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente, presenta tuttavia importanti modifiche nella distribuzione fra le diverse fasce di popolazione. La massima concentrazione nel Mezzogiorno assume dimensioni impressionanti e in crescita per le famiglie numerose; la percentuale di famiglie povere, con tre o più figli minori passa infatti dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010.

La povertà relativa aumenta, a livello nazionale, tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), tra quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall’11,8% al 14,1%).

La povertà relativa aumenta infine tra le famiglie con persona di riferimento lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8% al 5,6%), a seguito del peggioramento osservato nel Mezzogiorno, dove l’aumento più marcato si rileva per i lavoratori in proprio (dal 18,8% al 23,6%).

Famiglie a rischio di povertà

Vi sono infine famiglie che vivono in situazione di “forte fragilità economica”; spesso si tratta di situazioni di impoverimento, come aveva evidenziato la Caritas e la Fondazione Zancan, in relazione al rapporto del precedente anno.

Se si pone una soglia del 20% rispetto al livello di povertà relativa, bisogna inserire in tale fascia il 7.6% delle famiglie italiane.


Tabella 2. Dati riassuntivi sulla povertà in Italia al 2010
Definizione Soglia   (Euro al mese)   N. famiglie     % Famiglie    N. Individui       % Individui
 
Povertà assoluta *                             1.156.000          4.6%              3.129.000            5.2%
Povertà relativa          992,46           2.734.000          11%               8.272.000           13.8%
Quasi povere Entro il +20%  della soglia di p. relativa    

                                                           1.910.000           7.6%                   ND                      ND

* La soglia varia a seconda dell’età, dei componenti della famiglia e del luogo di residenza (area metropolitana, grandi comuni, piccoli comuni; Nord, Centro, Sud)

Il quadro complessivo appare pertanto preoccupante sotto più aspetti, con caratteristiche in parte inedite. A fronte del mantenimento della storica disuguaglianza fra Centro – Nord e Mezzogiorno, le classi medie scendono verso la povertà, sia assoluta (fra laureati e diplomati dall’1,7% al 2,1%) che relativa (dal 4,8% al 5,6% per quelli con titolo di studio medio alto).

Si tenga infine presente che la rilevazione Istat riguarda le famiglie residenti, a cui si aggiungono gli “invisibili”, cittadini stranieri non residenti, persone senza permesso di soggiorno, soggetti in situazione di marginalità che non sono facilmente censibili; un insieme di persone “povere per definizione”, per pre- condizione sociale e istituzionale.

Povertà e manovra economica

Ma la manovra economica varata dal governo in che misura avrà influenza su queste famiglie? I ticket (al pronto soccorso), la riduzione dei servizi sociali dei comuni, l’allentamento complessivo del sistema di welfare peggiorerà la loro situazione? Una manovra per il Paese non dovrebbe avere di mira anche la protezione di queste fasce di popolazione, di queste famiglie (dopo tanto blaterare di politiche per la famiglia!), di oltre i 3 milioni di cittadini di cui si certifica l’esistenza al di sotto di uno “standard di vita minimamente accettabile”?

L’obiettivo della manovra non è – in realtà – il Paese, ma rispondere alle attese dei nuovi “Governi Mondiali”, il Fondo Monetario Internazionale e le Agenzie di rating, che – come noto – hanno una visione sopranazionale e lungimirante dell’economia mondiale e quindi una capacità di previsione del bene dei diversi Stati!

Ma non è stato il FMI che – come emerge dallo stesso Ufficio valutazioni interno - non ha saputo cogliere i sintomi della crisi presenti fin dall’estate 2008, non ha dato peso alla bolla del mercato immobiliare, alla espansione del sistema bancario ombra, al degrado dei bilanci nel settore finanziario, ai rischi di contagio insiti nel sistema finanziario internazionale? Non è l’Agenzia di rating Moody’s (Commissione di inchiesta del Congresso Usa, gennaio 2011) che ha attribuito, negli ultimi sette anni, la Tripla A (massima affidabilità) a 45.000 titoli, in seguito oggetto di svalutazione .

Il fatto è che nell’orizzonte del dibattito politico si è via via sfocato, fino a scomparire, il confronto fra modelli diversi di sviluppo, configurazioni alternative della società, ipotesi diversificato sul futuro del Paese. In questo modo la politica non esercita più il suo ruolo, fino ad apparire non più esistente. Si limita ad amministrare, a confrontarsi sui mezzi per raggiungere quanto livelli sovrastatali indicano, in una condizione sostanzialmente di libertà limitata. Non si interroga più sui fini, con un restringimento delle possibili scelte politiche, che viene di fatto a coincidere con una riduzione sostanziale della democrazia, poiché questa si sostanzia non (solo) sulla base del metodo, ma vive in un “regime delle possibilità”, che consenta di mettere a confronto scelte volte a conseguire futuri diversi per il proprio paese.

E così, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, per la povertà si è ricorsi a classificazioni diverse, individuando la categoria dell’assoluto (povertà assoluta) « …surclassando il protagonista dei vangeli coniando l’espressione poveri – poveri. “Beati i poveri-poveri, perché di essi è il regno–regno…”»]!

Marco Geddes – Direttore sanitario, Presidio ospedaliero Firenze centro

FONTE: Saluteinternazionale.info

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Queste sono solo alcune delle notizie degli ultimi giorni e c'è da aver paura a leggere i quotidiani o ascoltare i telegiornali per le notizie che riportano (quelli seri che non cercano di nascondere i problemi dell'Italia dietro le notizie dal fronte e distogliere così l'attenzione dai problemi reali).

Ma perché devono essere sempre le stesse categorie a pagare per un debito pubblico creato dall'incapacità dei nostri ministri a gestire le risorse dello Stato (peraltro già pagate da noi)?  

Perchè non cominciamo a far pagare chi è incapace di fare il suo lavoro? Perché (oltre a tagliarne una buona fetta) non paghiamo i nostri politici in base ai risultati che ottengono come si fa nelle imprese? Magari così la smetteranno di prendere soldi, pensioni e agevolazioni varie e la smetteranno anche di brillare in tutta Europa per le loro percentuali di assenteismo, assolutamente impossibili in altri Paesi.

Perché i poveri devono diventare sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi solo perché riescono a cucirsi addosso su misura condoni, leggi ad personam e sanatorie varie?

Esiste ancora una giustizia in questo Paese?

Tutti abbiamo diritto a delle certezze ma in questo "Paese" non c'è più ormai da tempo né la certezza del diritto né, tanto meno, la certezza dei nostri diritti.


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