mercoledì 27 marzo 2013

Contro la crisi: affittare una parte del proprio alloggio


Abitazione principale parzialmente locata: dalla registrazione alla dichiarazione dei redditi

Aumenta sempre di più il fenomeno della locazione di una parte o un vano del proprio immobile , soprattutto se ci si trova in una delle città italiane più interessanti dal punto di vista storico artistico, ovvero economico produttivo.

Questa operazione è considerata da molti come uno dei tanti aspetti dell’attuale crisi economica, che spinge molte famiglie italiane ad ingegnarsi per incrementare le entrate mensili sacrificando la loro privacy riadattando il proprio stile di vita ad un numero minore di stanze per destinare una porzione dell’alloggio a terzi, risparmiando i relativi costi di ristrutturazione e di divisione.

Vediamo allora quali sono gli adempimenti tributari per la registrazione del contratto di affitto e la successiva dichiarazione dei canoni nel modello Unico 2013.

Anche se non conteplato esplicitamente nella L. 431/1998,  relativa alla disciplina delle locazioni abitative e di prassi fiscale specifica, si ritiene che il contratto di locazione di porzione di fabbricato ad uso abitativo segua le regole ordinarie.

Pertanto in caso di presentazione del contratto all’ufficio, il contribuente deve portare con sé:

- almeno due originali (o un originale e una copia con firma in originale) del contratto da registrare;

- un contrassegno telematico (ex marca da bollo) da 14,62 euro, da applicare su originali e copie, per ogni 4 facciate scritte e, comunque, ogni 100 righe;

- il modello 69 per la richiesta di registrazione, compilato (che si può scaricare dal sito internet dell’Agenzia o prendere in ufficio). In particolare si deve inserire nel Quadro D dei DATI DEGLI IMMOBILI, la lettera P (porzione);

- la ricevuta di pagamento dell’imposta di registro (copia del mod. F23), sempre che non si opti per la cedolare secca; in tal caso, infatti, non è dovuta l’imposta di registro, ma l’imposta sostitutiva (acconto e saldo), che deve essere versata entro gli stessi termini previsti per l’Irpef.

L’imposta di registro è dovuta nella misura del 2% del canone annuo pattuito. È previsto l’importo minimo di versamento di 67 euro per la prima annualità. (1)

Con circolare n. 5 del 11 marzo 2013, l’Agenzia ha dato alcune importanti indicazioni sulla tassazione dei redditi provenienti dalla locazione di parte dell’abitazione principale. In particolare il documento rileva la “particolarità che trae origine dalla circostanza che l’immobile rappresenta, per il proprietario, la propria abitazione principale per l’intero anno, nonostante parte di essa sia stata concessa in locazione”.

A tal proposito è stato ritenuto che debba applicarsi la sola IMU nel caso in cui l’importo della rendita catastale rivalutata del 5% risulti maggiore del canone annuo di locazione (abbattuto della riduzione spettante ovvero considerato nel suo intero ammontare nel caso di esercizio dell’opzione per la cedolare secca). Sono, invece, dovute sia l’IMU che l’IRPEF o la cedolare secca nel caso in cui l’importo del canone di locazione (abbattuto della riduzione spettante ovvero considerato nel suo intero ammontare nel caso di esercizio dell’opzione per la cedolare secca) sia di ammontare superiore alla rendita catastale rivalutata del 5%.

Esempio :

rendita rivalutata del 5% = euro 1000

canone di locazione annuo (ridotto del 15% (2)  se assoggettato ad IRPEF) = euro 2550

canone di locazione annuo (non ridotto se assoggettato a cedolare secca)= euro 3000

in questo caso si paga sia l’IMU che l’IRPEF (o la Cedolare Secca)

Il quadro RB di Unico 2013 presenta quest’anno la seguente forma :

In particolare nella Riga 2 “Utilizzo” è possibile indicare rispettivamente:

11-immobile in parte utilizzato come abitazione principale e in parte concesso in locazione in regime di libero mercato o “patti in deroga”.

Nel caso di opzione per il regime della cedolare secca va barrata la casella di colonna 11 “Cedolare secca” e va compilata la sezione II del quadro RB. Il reddito va indicato nella colonna 14 “imponibile cedolare secca 21%”;

12- immobile in parte utilizzato come abitazione principale e in parte concesso in locazione a canone “concordato” situato in uno dei comuni ad alta densità abitativa.

Nel caso di opzione per il regime della cedolare secca va barrata la casella di colonna 11 “Cedolare secca” e va compilata la sezione II del quadro RB. Il reddito va indicato nella colonna 15 “imponibile cedolare secca 19%”;

Il reddito da canoni di locazione soggetto ad IRPEF va inserito in RB punto 6 e riportato nel rigo RB punto 13 , nel nostro esempio è pari a 2550 euro e confluisce nel rigo RN 1 del Reddito Complessivo.



(1) Circolare Min. Finanze n. 12/1998.

(2) 30% se all’atto della registrazione è stato applicato un canone convenzionale.



Fonte : FiscoOggi

Contro la crisi il supermercato per i disoccupati : lavoro pagato con la spesa alimentare

                                                                                       
Nasce il supermercato per i disoccupati: lavoro in cambio della spesa gratis

Lodevole l'iniziativa che sta nascendo a Modena per contrastare la crisi e la difficoltà di numerose famiglie per procurarsi beni di prima necessità. Riportiamo una sintesi dell'articolo de "Il Fatto Quotidiano".

Il supermercato funziona così: le famiglie avranno a disposizione in maniera totalmente gratuita una tessera e un tot di bollini per fare la spesa nell’arco di un anno. Nessuna carità quindi: dovranno offrire in cambio aiuto almeno una volta a settimana.

Le paure del nuovo millennio si sono estese alla paura di non riuscire a fare la spesa tutti i giorni e riuscire ad arrivare alla fine del mese. L’umiliazione di offrire un piatto vuoto ai figli di ritorno da scuola è il colpo più duro per i poveri d’Italia, quasi 4 milioni nel 2013.

La soluzione trovata in Emilia Romagna, a Modena, è questa: il Centro Servizi per il Volontariato inaugurerà a maggio l’Emporio Portobello, un supermercato per disoccupati e famiglie in difficoltà economica. Circa 450 i nuclei vulnerabili a cui si intende offrire il servizio: scelti in collaborazione con i servizi sociali in base al quoziente Isee, le famiglie avranno la disponibilità gratuita di una tessera e un tot di bollini per fare la spesa nell’arco di un anno. In cambio dovranno offrire il proprio lavoro almeno una volta a settimana.

Lo racconta,. “L’idea ci è venuta semplicemente ascoltando i problemi dei nostri concittadini " dice
Angelo Morselli  presidente del Centro per il Volontariato a "Il Fatto Quotidiano" e portavoce di un nuovo welfare dove la parola d’ordine è dignità "la situazione è allarmante”. 

Gli ultimi dati di Confcommercio parlano di un paese dove, dal 2006 al 2011, la crisi ha creato 615 nuovi poveri al giorno, a fronte di un tasso di disoccupazione dell’11,7%. Così Emporio Portobello vuole dare risposta ai nuovi poveri, cercando di offrire un’ancora di salvezza. “Crediamo molto in questo progetto – dice Morselli – e vogliamo si mantenga la dimensione dell’acquisto, nessuno regala niente, ma coinvolgiamo le persone in un progetto specifico. Noi vogliamo stringere un patto con gli utenti che accoglieremo nei nostri locali. Ci sono delle condizioni e sarà fondamentale per tutte le parti rispettarle”. 

La prima regola è essere disposti al cambio di stile di vita. 

“Portobello sarà composto da tre locali: magazzino, supermercato vero e proprio e un’area di incontro con le associazioni. Intendiamo instaurare con gli utenti un vero dialogo per cercare di assisterli in questa nuova fase di vita. Cambiare lo stile di consumo sarà uno dei primi obiettivi”. 

E la seconda clausola del patto tra l’Emporio e il cittadino prevede un aiuto concreto: “In cambio chiediamo a chi usufruirà del servizio, di venire almeno una volta a settimana a lavorare come volontario presso la struttura. È il segno concreto che non stiamo facendo nessuna carità, ma cerchiamo di coinvolgere direttamente gli utenti nel percorso di uscita dal disagio”.

A rendere possibile e realizzabile il progetto sono le tante associazioni di volontariato attive sul territorio di Modena e, come ci tiene a sottolineare Morselli, per la prima volta anche laiche. “Siamo abituati a vedere questo tipo di progetti legati solo al mondo del volontariato cattolico, ma in questo caso ci sono anche altre realtà vicine all’associazionismo civico”. Così si va dall’Associazione Porta Aperta Modena, Insieme in quartiere per la città, Arcisolidarietà, Forum delle associazioni familiari della provincia fino all’Associazione Papa Giovanni XXIII e tante altre. 

Ad essere coinvolta è però tutta la cittadinanza. Sul sito: PortobelloModena.it è possibile dare il proprio contributo. Tante le modalità: si può “donare una spesa”, ovvero fare una donazione di denaro oppure le aziende possono donare direttamente prodotti d’acquisto. Infine c’è un’intensa attività di reclutamento volontari alla voce “dona il tuo tempo”: si cercano studenti o semplici cittadini che per qualche ora a settimana possono dare una mano a gestire la struttura.

“Purtroppo – conclude Morselli – il nuove welfare dovrà passare per forza dal volontariato. Per le famiglie non si tratta più di non riuscire ad arrivare alla fine del mese, ma nemmeno alla terza settimana. Se mancano i fondi e gli aiuti a livello statale, bisogna che siano i cittadini a rimboccarsi le maniche”. 

Un’esperienza unica: “All’inizio le nostre ambizioni erano più ridimensionate, ma siamo sommersi di richieste prima ancora di cominciare e stiamo cercando di diventare un punto di coordinamento per la nascita di altre realtà sul territorio. Grazie all’aiuto dei tanti volontari locali abbiamo deciso di accettare la sfida”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

domenica 24 marzo 2013

Coppie di fatto: se la storia finisce il partner non si può cacciare

Più tutela per le coppie di fatto: anche se finisce il rapporto, il partner non può essere buttato fuori casa dall’oggi al domani anche se la casa è di proprietà dell’altro. 
Lo sottolinea la Cassazione con una sentenza della Seconda sezione civile recentemente depositata. 
La Suprema Corte spiega che dal momento che “la famiglia di fatto è compresa tra le formazioni sociali che l’art. 2 della Costituzione considera la sede di svolgimento della personalità individuale, il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata”. 
La Cassazione si è così pronunciata occupandosi del caso di una coppia di fatto della provincia di Roma il cui rapporto era naufragato. Ginaluca M. nel marzo 1998 aveva venduto l’immobile alla convivente Laura L.. L’uomo, ricostruisce la sentenza 7214, aveva continuato a frequentare la casa sia pernottandovi sia usandola come appoggio ad altro sottostante appartamento in cui esercitava la professione medica anche dopo la fine del rapporto. La donna lo aveva sbattuto fuori casa. 
La Cassazione dice che il convivente non è un “ospite” e che dunque non doveva essere messo alla porta all’improvviso. Ciò beninteso, precisa la Suprema Corte, “non significa pervenire ad un completo pareggiamento tra la convivenza more uxorio e il matrimonio, contrastante con la stessa volontà degli interessati, che hanno liberamente scelto di non vincolarsi con il matrimonio proprio per evitare le conseguenze legali che discendono dal coniugio”. 
Detto questo, la Cassazione dice chiaramente che “questa distinzione non comporta che, in una unione libera che tuttavia abbia assunto, per durata, stabilità, esclusività e contribuzione, i caratteri di comunità familiare, il rapporto del soggetto con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà dell’altro convivente, si fondi su un titolo giuridicamente irrilevante quale l’ospitalità, anziché sul negozio a contenuto personale alla base della scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare, come tale anche socialmente riconoscibile”.

Fonte: Immobilio - Forum immobiliare

Acquistare casa al figlio è anticipo di eredità


Acquistare una casa ed  intestarla al figlio è un classico esempio di donazione indiretta. La donazione riguarda l'immobile, non il denaro che è servito a comprarlo: perché è l'immobile che va ad arricchire il patrimonio del beneficiario. E ciò vale sia nel caso di intestazione in senso stretto, sia nel caso di acquisto che il figlio fa a proprio nome con i soldi forniti, contestualmente o in precedenza, dal genitore. La quota riservata per legge agli eredi non si devolve però automaticamente ai legittimari. Se uno di loro viene privato anche in parte della sua legittima, può far valere il proprio diritto con un'azione di riduzione (entro dieci anni) nei confronti di chi invece ha ricevuto in eccesso.

Il genitore di solito interviene perché il figlio, magari privo di redditi, non può permettersi quell'investimento. Per motivi di coerenza fiscale, nell'atto di compravendita il donatario può specificare che il prezzo di acquisto è stato pagato dal genitore. Ma questa dichiarazione è utile anche ai fini successori soprattutto se ci sono altri figli. Non si può infatti usare la donazione per privarsi degli immobili (o dei beni) e lasciare qualcuno dei parenti prossimi senza la quota minima che gli spetta.


Per la legge italiana, il testatore può disporre liberamente solo di una parte del patrimonio (quota disponibile): ai legittimari (coniuge, figli e ascendenti) è destinata comunque una "quota di riserva", di cui non possono venir privati per volontà del defunto, espressa nel testamento o manifestata tramite donazioni in vita. Questa quota di riserva (e la sua divisione) varia in base al numero dei legittimari, secondo un preciso schema. E non si calcola sul valore del patrimonio del defunto al momento della morte, ma su tutta la massa ereditaria: inclusi il valore dei debiti e quello delle donazioni (misurato alla data di apertura della successione).

In definitiva, la donazione è considerata come un anticipo di eredità.

Con la dichiarazione nell'atto di compravendita allora, la casa comprata dal genitore va a imputarsi alla quota ereditaria del figlio. Senza quella specifica, dopo la morte del genitore, gli eventuali altri figli potrebbero non essere in grado di provare l'avvenuta donazione indiretta. 

Se non viene specificato potrebbe trattarsi infatti di un debito contratto dal figlio nei confronti del genitore: è come se quest'ultimo prestasse i soldi. Un credito che poi in successione cade.

Se nell'atto di compravendita non c'è dichiarazione, il denaro viene considerato come prestito, e se non ci sono altri figli o nessuno si "oppone" in giudizio alla morte del genitore, si evitano di fatto le imposte di donazione o successione. 

Al contrario, invece, come per ogni donazione si andrebbe a erodere la franchigia disponibile. 

Le imposte si applicano infatti sul valore dei beni (base imponibile) che eccede la franchigia da applicare in virtù del rapporto di parentela con il defunto. Per il coniuge o i parenti in linea retta (come i figli, appunto) la franchigia è di un milione di euro (mentre per il fratello e la sorella è di 100mila euro), ma per i portatori di grave handicap è di 1.500.000 euro. 

Alla base imponibile, decurtata della franchigia, si applicano le aliquote del 4% (coniuge o parenti in linea retta), 6% (fratelli o sorelle), 6% (parenti entro il quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale entro il terzo grado), 8% (altri soggetti). 

Se la successione si è aperta entro cinque anni da un'altra successione o da una donazione riguardante gli stessi beni, l'imposta è ridotta di un importo inversamente proporzionale al tempo trascorso, di un decimo per ogni anno o frazione di anno. 

Per gli immobili si applicano due ulteriori imposte, per le quali non valgono le franchigie: cioè le imposte ipotecaria e catastale, pari rispettivamente al 2 e all'1% (oppure a 168 euro l'una, se ci sono le condizioni per usufruire delle agevolazioni prima casa). La base imponibile è quella del valore di mercato alla data di apertura della successione. Il valore catastale si ottiene moltiplicando per 126 (o 115,5 se prima casa) le rendite che risultano al catasto. E basta che almeno uno dei beneficiari possegga i requisiti prima casa per estendere la riduzione d'imposta a tutti gli altri eredi. 

In ogni caso, quando si parla di trasferimento degli immobili (e più in generale, dei beni) ai propri eredi, occorre considerare bene tutti gli aspetti e rivolgersi ai professionisti può aiutare  a creare pacchetti di assegnazione più omogenei possibile.

Fonte : Il Sole 24 Ore

sabato 23 marzo 2013

Corte d'appello di Brescia restituisce contributo affitti a stranieri "discriminati"

Il 31 gennaio 2013 la Corte d’Appello di Brescia, in accoglimento della domanda di un cittadino straniero residente nel comune di Adro, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado n. 119/12 del Tribunale di Brescia.

Il giudice di prime cure, essendo stato dichiarato con provvedimenti cautelari il carattere discriminatorio del Regolamento del Comune nella parte in cui prevedeva la destinazione ai soli cittadini comunitari di un fondo integrativo per l’affitto, aveva condannato il Comune di Adro al pagamento a favore del ricorrente di una somma minore (meno della metà) rispetto a quella che avrebbe potuto ottenere se si fosse applicata la percentuale (calcolata in base al reddito dell’avente diritto) prevista dal Regolamento.

Il Tribunale aveva ritenuto non sindacabile la decisione del Comune di non rifinanziare il fondo affitti a causa del deficit di bilancio, scelta che comportava la necessità di ripetere le somme che erano già state erogate agli originari aventi diritto. Il riconoscimento della minor somma viene giustificato dal Tribunale affermando che, una volta recuperate le somme pagate, sarebbe stata comunque salvaguardata l’assoluta parità fra tutti gli aventi diritto.

La Corte d’Appello di Brescia ha ritenuto che subordinare la piena soddisfazione degli stranieri al recupero delle somme già pagate agli originari aventi diritto realizzerebbe “il perpetuarsi proprio di quella discriminazione, solo quantitativamente minore, che i provvedimenti cautelari hanno ordinato di rimuovere”. Obbligare i cittadini extracomunitari ad attendere l’esito (peraltro incerto, vista la questione della ripetibilità o meno delle somme già versate) delle procedure di recupero significa disattendere l’obbligo di rimuovere la discriminazione con urgenza.

Sulla base di questi motivi, la Corte ha condannato il Comune di Adro a integrare il pagamento del contributo destinato all’appellante.

venerdì 22 marzo 2013

Vendita appartamento in condominio: chi paga le spese condominiali?

Vendita dell'appartamento in condominio: l'acquirente è responsabile in solido, salvo rivalsa verso il compratore. Osservazioni sulla normativa applicabile dopo la riforma.
Spese condominiali e compravendita dell’appartamento: chi paga che cosa?

La domanda resta sempre di grande attualità e, per quanto diremo, le cose cambieranno di poco anche a partire dal 18 giugno 2013, data di entrata in vigore della “riforma” del condominio.

Ad oggi la norma di riferimento è il secondo comma dell’art. 63 disp. att. c.c. che recita:

Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.

Tenendo conto che il “famoso” decreto ingiuntivo condominiale può esser emesso solamente contro l’attuale condomino, è prassi che l’amministratore proceda contro di esso.

In questo stadio della controversia non conta da chi effettivamente sono dovute le somme richieste.

Secondo la Cassazione, infatti, è “nell'eventuale giudizio di rivalsa che venditore e acquirente dovranno chiarire, in relazione ai loro accordi contrattuali, chi debba restare onerato dal pagamento, fermo che nei confronti del condominio l'acquirente è responsabile per le spese del biennio anteriore al suo acquisto, cosicché il condominio può limitarsi ad agire contro di lui semplicemente dimostrando quale è l'importo dovuto per le spese di questo periodo” (così, tra le tante, Cass. 23 gennaio 2013, n. 1548).

Quanto all’effettiva titolarità del debito, la legge non specifica chiaramente a chi debbano essere imputate.

Secondo un orientamento giurisprudenziale “le obbligazioni dei condomini di concorrere nelle spese per la conservazione delle parti comuni si considerano obbligazioni propter rem, perché nascono come conseguenza della contitolarità del diritto sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni. Alle spese per la conservazione per le parti comuni i condomini sono obbligati in virtù del diritto (di comproprietà) sulle parti comuni accessori ai piani o alle porzioni di piano in proprietà esclusiva. Pertanto, queste obbligazioni seguono il diritto e si trasferiscono per effetto della sua trasmissione.

Trattandosi di obbligazioni propter rem, derivanti dalla contitolarità del diritto reale sulle parti comuni, l'obbligo di ciascun condomino insorge al momento stesso in cui si rende necessario provvedere alla conservazione della cosa e, per conseguenza, si eseguono i lavori che giustificano le relative spese” (Cass. 18 aprile 2003 n. 6323).

Insomma in base a questa teoria conta la data di effettuazione della spesa per stabilire che è il reale titolare dell’obbligazione di pagamento.

Un opposto orientamento, invece, attribuisce importanza i fini dell’individuazione del titolare dell’obbligazione alla data di deliberazione (cfr. Cass. 3 dicembre 2010 n. 24654).

In questo contesto d’incertezza, quindi, è caldamente consigliabile dettagliare nell’atto di compravendita chi debba pagare che cosa.

Con la riforma le cose, dicevamo, cambieranno leggermente.

Per tutte le cessioni di appartamenti che avverranno dopo il 18 giugno, infatti, ferma restando quanto stabilito dal succitato secondo dell’art. 63 disp. att. c.c. (che diverrà il quarto in virtù della sua sostituzione ad opera della legge n. 220/2012), bisognerà tenere conto del nuovo quinto comma dell’articolo appena citato che recita:

Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.

Due le letture possibile della nuova norma:

a) si concede al condominio l’azione ex art. 63 disp. att. c.c. (ossia il decreto ingiuntivo condominiale) anche verso l’ex condomino (cosa oggi non considerata possibile) pure per le quote maturate dopo la cessione e fino a quando essa non viene comunicata all’amministratore;

b) si concede al nuovo condomino la possibilità dell’azione di rivalsa anche per le quote maturate dopo la cessione e fino a quando essa non viene comunicata all’amministratore.
Delle due la prima sembrerebbe la più convincente perché non avrebbe senso dare al neo condomino la possibilità di non pagare ciò che in virtù della natura dell’obbligazione gli spetta quale titolare del diritto.

Così dicendo, però, verrebbe meno, per questi specifici casi, quanto detto dalla giurisprudenza in materia di condomino apparente.

Insomma se le cose andranno nella direzione indicata nel punto a) il principio dell’apparenza tornerebbe ad essere applicabile anche al condominio
.
Fonte: Condominioweb.com

Distanze tra fabbricati: breve guida di riferimento

Uno dei temi più complessi (e frequenti) tra i rapporti di vicinato, è relativo alla distanza tra fabbricati e tra muri di confine. Una materia molto ricca, disciplinata diffusamente dal codice civile, che traccia alcuni punti di riferimento nelle distanze minime da rispettare: considerato che si tratta, appunto, di "distanze minime", non è escluso che i regolamenti edilizi o le leggi regionali possano prevedere delle distanze maggiori.

Ricordiamo che il codice civile stabilisce come tra due edifici non aderenti, la distanza minima in linea d'aria debba essere pari a 3 metri. Non mancano tuttavia le eccezioni, come l'eventuale accordo tra vicini nel disciplinare una distanza minore in assenza di regolamento edilizio, o ancora l'acquisizione di una distanza minima inferiore in virtù di usucapione.

Da questo punto di partenza in poi, la normativa di riferimento arricchisce le modalità di valutazione in maniera esponenziale, contribuendo così a rendere ben più complesso il tema. Di fatti, ad esempio, è ben noto che per calcolare la distanza minima occorre fare riferimento all'inizio / fine della costruzione, considerato che fanno parte di essa i muri, i travi, i pilastri, le scale, mentre non sono sempre ricompresi i balconi e le altre sporgenze, la cui considerazione varia a seconda del regolamento edilizio locale.

Particolarmente interessante risulta inoltre essere la disciplina sui muri di confine, la cui costruzione è legittimata dal codice civile, che riconosce la possibilità che ogni proprietario possa recintare la sua proprietà. In ogni caso, se il muro di recinzione è più alto di 3 metri, l'edificio costruito nelle vicinanze dovrà sorgere ad almeno tre metri di distanza. Se il muro supera i 3 metri, invece, la distainza dovrà essere osservata dal muro di confino stesso, e non dal fabbricato del vicino.

Infine, evidenziamo come il confine tra due proprietà possa essere segnato dalla presenza di piante o siepi: in questa ipotesi, peraltro piuttosto frequente fuori città, la manutenzione degli spazi verdi confinanti spetta in ugual misura a entrambi i proprietari.

Fonte : Condominioweb.com

Realizzazione di altana : vietata senza il consenso degli altri condòmini


  Innanzitutto è opportuno definire la natura e la struttura dell'altana, che costituisce un manufatto particolare tipico, soprattutto (ma non solo), della città di Venezia ( e la  controversia in esame è riferita proprio ad una costruzione di questo genere sita nel capoluogo Veneto).
L'altana (chiamata anche "belvedere") è, in sostanza, una piattaforma o loggetta realizzata (di regola in legno, con sua relativa precarietà) nella parte più elevata di un edificio (ed alla quale si accede, in genere, dall'abbaino, altro tipico elemento dell'architettura veneziana), che, in alcuni casi, può anche sostituire il tetto e che, a differenza delle terrazze e dei balconi, non sporge, di norma, rispetto al corpo principale dell'edificio di pertinenza. 
Ora, in base alla giurisprudenza, la sopraelevazione di cui all'art. 1127 c.c. si configura nei casi in cui il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale esegua nuovi piani o nuove fabbriche in senso proprio ovvero trasformi locali preesistenti aumentandone le superfici e le volumetrie, ma non anche quando egli intervenga con opere di trasformazione relative all'utilizzazione del tetto che, per le loro caratteristiche strutturali (come quelle riconducibili ad un manufatto che occupi parzialmente la superficie del tetto stesso senza costituire un innalzamento, in senso stretto, in continuità ed in sovrapposizione rispetto all'ultimo piano), siano idonee a sottrarre il bene comune alla sua destinazione in favore degli altri condomini e ad attrarlo nell'uso esclusivo del singolo condomino. In tal senso, quindi, ai sensi del citato art. 1127 c.c., costituisce "sopraelevazione" soltanto l'intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato condominiale, mediante occupazione della colonna d'aria soprastante. 
E, del resto, la giurisprudenza è concorde anche nel rilevare che, in tema di condominio, sono legittimi, ai sensi dell'art. 1102 c.c., sia l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l'uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno, con la conseguenza che, per converso, deve qualificarsi illegittima la trasformazione – anche solo di una parte - del tetto dell'edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, sottratta all'utilizzazione da parte degli altri condomini (cfr., ad es., Cass. n. 1737 del 2005; Cass. n. 24414 del 2006 e Cass. n. 5753 del 2007). 

(Nella specie si contestava che la proprietaria di una unità immobiliare al terzo piano, aveva costruito, nel 1991, un'altana in legno, senza ottenere la preventiva autorizzazione dei comproprietari ed in violazione dell'art. 1102 c.c. in quanto insisteva su parte comune dell'edificio ed ostruiva una botola condominiale di accesso al tetto, oltre che dell'art. 1127, commi 2 e 3, c.c., siccome comportava un pregiudizio per le condizioni statiche e per l'aspetto architettonico dell'edifici)

Si legge nella sentenza:

La Corte territoriale si è correttamente uniformata ai richiamati principi escludendo che l'altana potesse costituire propriamente una sopraelevazione, continuando a fungere da copertura dell'edificio la parte di tetto su cui insiste la sua struttura e, ancorché essa sia qualificabile come una costruzione, non rappresenta, però, l'espressione del diritto di sopraelevazione da intendere nei precisati sensi (diversamente dal modo in cui è stato invocato dalla ricorrente). Il giudice di appello ha, infatti, accertato, in virtù di un percorso argomentativo esaustivo e logico fondato su idonei accertamenti di fatto avallati anche dalle risultanze della c.t.u., che non poteva ritenersi intervenuta l'edificazione di un nuovo piano o, comunque, di una nuova fabbrica, consistendo l'altana, piuttosto, in una modifica della situazione preesistente mediante una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte della porzione comune con relativo impedimento agli altri condomini dell'inerente uso (con correlata violazione del divieto stabilito dall'art. 1120, comma 2, c.c.), essendo indubbio che gli altri condomini erano rimasti privati delle potenzialità di uso (come quelle, ad es., riconducibili alla possibilità di installazione di antenne e alla riparazione o manutenzione della copertura stessa) della parte di tetto occupata dalla struttura dell'altana a beneficio esclusivo della C.Z. .

Né coglie nel segno l'argomentazione prospettata dalla ricorrente secondo cui, ai fini della qualificazione dell'altana come sopraelevazione, si sarebbe dovuto tener conto anche del disposto di cui all'ultimo comma dell'art. 1127 c.c. (che disciplina i criteri di computo dell'indennità da corrispondere agli altri condomini in relazione al valore attuale dell'area da occuparsi), in virtù del quale si dovrebbe considerare come sopraelevazione ogni "nuova fabbrica", la cui superficie utile, di calpestio, si vada ad aggiungere alle superfici preesistenti e si ponga sopra la linea terminale dell'ultimo piano preesistente.

Invero, deve, innanzitutto, considerarsi che il concetto generale di "sopraelevazione" è evincibile dal comma 1 del citato art. 1227 c.c., il quale pone riferimento all'attività di "elevazione" di nuovi piani o nuove fabbriche, mentre nei commi successivi esso viene meramente richiamato ad altri fini. L'uso del termine "elevazione" (e non di "utilizzazione") implica - come già, oltretutto, evidenziato precedentemente - la conseguenza che la nuova costruzione debba necessariamente connotarsi per la sua idoneità a produrre un sollevamento ovvero un innalzamento ad un'altezza superiore rispetto al piano originario, mediante l'occupazione della colonna d'aria soprastante.

La disposizione dell'ultimo comma dello stesso art. 1127 c.c. nella parte in cui pone riferimento "all'area da occuparsi con la nuova fabbrica" è diretta, in effetti, a dettare un semplice criterio di calcolo dell'indennità da corrispondere agli altri condomini in caso di sopraelevazione in senso stretto e la parte finale di detto comma avalla tale interpretazione, imponendo a colui che esegue una sopraelevazione l'obbligo di mantenere i diritti di uso e godimento che i condomini avevano in precedenza sulla copertura. Il riferimento specifico del comma in questione al lastrico solare, di cui si impone l'obbligo della ricostruzione nel caso in cui preesista alla sopraelevazione, ha la mera funzione di evidenziare l'impossibilità di interscambiabilità di un tipo di copertura rispetto ad un altro e di impedire, così, al proprietario dell'ultimo piano di sostituire il lastrico con altra forma di copertura (come potrebbe essere, ad es., quella di un tetto a falde).

Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per la violazione dell'art. 1120 c.c. e la falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., nonché per la carenza e, comunque, insufficienza di motivazione in relazione al punto decisivo della controversia riferito alla ritenuta circostanza che la costruzione dell'altana impediva agli altri condomini di far uso della parte del tetto occupata da tale manufatto (ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.).

3.1. Anche questo motivo è privo di fondamento e va, perciò, disatteso.

Secondo la ricostruzione dedotta dalla ricorrente, l'utilizzazione dello spazio aereo sovrastante il tetto comune, mentre non incide minimamente sulla struttura, sulla conformazione e sulla funzione dello stesso, consente al singolo condomino un miglior godimento della cosa comune alla quale ha apportato a proprie spese un incremento costituito dall'altana, la quale non sarebbe idonea a modificare né ad alterare la destinazione propria del tetto né ad impedire agli altri condomini di farne uso, secondo il loro diritto. La riferita prospettazione non è meritevole di adesione.

Per quanto già evidenziato in relazione ai primi due motivi del ricorso ed escluso che l'altana possa essere qualificata come una sopraelevazione in senso proprio, la Corte di appello di Venezia, sulla base di una valutazione di merito adeguatamente motivata e riscontrata da conferenti accertamenti in punto di fatto, ha appurato che, mediante l'installazione arbitraria dell'altana ed in assenza di qualsiasi autorizzazione legale da parte della collettività condominiale, la ricorrente aveva illegittimamente occupato, a suo esclusivo vantaggio, un parte condominiale, sottraendola all'utilizzazione e godimento da parte degli altri condomini. In tal senso, perciò, il giudice di secondo grado si è uniformata al più convincente orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr., soprattutto, Cass. n. 4466 del 1997; Cass. n. 1737 del 2005; Cass. n. 5753 del 2007, cit., e Cass. n. 14950 del 2008), al quale si aderisce, in virtù del quale, in tema di condominio, la sostituzione integrale o parziale del tetto - così come la sua permanente occupazione in parte con la sovrapposizione di altro manufatto - ad opera del proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale, con una diversa copertura (terrazza od altra struttura equivalente, come potrebbe essere proprio un'altana) che pur non eliminando l'assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, valga ad imprimere al nuovo manufatto, per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi, anche una destinazione ad uso esclusivo dell'autore dell'opera, costituisce alterazione della destinazione della cosa comune e non può considerarsi insita nel più ampio diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell'ultimo piano.

In altri termini, qualora il proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale provveda a modificare una parte del tetto condominiale trasformandola in terrazza (od occupandola con altra struttura equivalente od omologa) a proprio uso esclusivo, tale modifica è da ritenere illecita non potendo essere invocato l'art. 1102 c.c., poiché non si è in presenza di una modifica finalizzata al migliore godimento della cosa comune, bensì all'appropriazione di una parte di questa che viene definitivamente sottratta ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri, non assume alcun rilievo il fatto che la parte di tetto sostituita od occupata permanentemente continui a svolgere una funzione di copertura dell'immobile.

4. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto. Si ravvisano, tuttavia, alla stregua della complessità delle questioni giuridiche trattate e della peculiarità della controversia (con riferimento anche alla particolarità della costruzione venuta in considerazione, sulla quale non constano precedenti di questa Corte), giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità tra le parti costituite, mentre non occorre adottare alcuna pronuncia in ordine al rapporto processuale intercorso tra la ricorrente e le altre parti intimate, che non hanno svolto attività difensiva in questa sede
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Fonte: Condominioweb.com

Termine della locazione e riconsegna dell'immobile



Che cosa bisogna fare al termine della locazione per riconsegnare l'iimmobile senza subire contestazioni?
La locazione, soprattutto per ciò che concerne le unità immobiliari destinate ad uso abitativo, resta sempre una delle materie di maggiore intervento della Corte di Cassazione.

Equo canone (perché esistono ancora cause riguardanti l’ormai sepolto canone determinato per legge), danni, sfratti e via dicendo: la giurisprudenza non ci fa mancare aggiornamenti sulle interpretazioni delle norme riguardanti tali materie.

L’ultima in ordine di tempo, la n. 1887 del 28 gennaio 2013, riguarda la riconsegna dell’immobile al termine del contratto di locazione.

La materia è interessante ed ha notevoli risvolti pratici in quanto la Cassazione specifica, confermando il proprio consolidato orientamento, che cosa debba fare l’inquilino per riconsegnare effettivamente l’unità immobiliare e quindi per evitare di andare incontro al così detto danno da ritardata restituzione (art. 1590 c.c.).

Si legge nella sentenza citata che "l’obbligo di riconsegnare la cosa locata al locatore (art. 1570 c.c.) non si esaurisce in una semplice messa a disposizione delle chiavi ma richiede, per il suo esatto adempimento, una attività consistente in una incondizionata restituzione del bene e, dunque, in una effettiva immissione dell'immobile nella sfera di concreta disponibilità del locatore (Cass. 28 gennaio 2013, n. 1887).

Insomma non ha senso non basta dire: “le chiavi sono disponibili prendile quanto vuoi”.

E’ necessario consegnarle effettivamente in modo che il proprietario dell’appartamento possa effettivamente utilizzarlo.

La Corte ci spiega anche che cosa può fare l’inquilino se il locatore è poco collaborativo.

“Qualora non possa attuarsi la concreta (e comprovata) cooperazione di quest'ultimo si rende necessaria, ai fini della liberazione dagli obblighi connessi alla mancata restituzione, un'offerta fatta a norma dell'art. 1216 c.c., con onere della prova circa lo svolgimento di detta legale attività, a carico del conduttore (Cass. n. 8616/06).

Del resto, questa Corte ha in modo costante affermato che la liberazione del conduttore dall'obbligo di riconsegnare la cosa locata si attua, essendo il rapporto di locazione un rapporto obbligatorio intuitu personae, solo con la consegna del bene, anche se nella modalità della consegna delle chiavi, al locatore in persona o ad altri soggetti che lo rappresentino in virtù di espressa sua volontà (v. Cass. n. 550/12; Cass. n. 5841/04).

Ciò posto in rilievo il giudice dell'appello ha potuto accertare che non si era svolta "certamente" la attività di cui all'art. 1216 e, quindi, non si era verificata la effettiva immissione del bene locato nella sfera di disponibilità” (Cass. 28 gennaio 2013, n. 1887).

In buona sostanza: se il proprietario tarda a ritirare le chiavi e la situazione inizia ad essere strana, ossia incomprensibile nell’ambito di un normale e fisiologico ritardo nella conclusione pratica del rapporto locatizio, il conduttore, per evitare di incappare in errore, farebbe bene a mettere in mora il locatore dicendogli, più o meno, per iscritto: “io ti voglio consegnare le chiavi e ti invito a prenderle in data X alle ore X” e far notificare quest’atto tramite ufficiale giudiziario.
 
Fonte: Condominioweb.com

Condominio : la tinteggiatura della facciata


Identificativi e funzione della facciata
La facciata comunemente viene identificata nella parte più esterna dell’edificio. Rientra nella categoria dei muri maestri ed è oggetto di proprietà comune tra tutti i condomini, in quanto costituisce una delle strutture essenziali ai fini della esistenza dell’edificio. La facciata può considerarsi un parte comune necessaria in quanto svolge una duplice funzione: quella conformativa-strutturale del fabbricato ed anche di destinazione rappresentativa ed estetica dello stesso.

La facciata di prospetto, rientra tra gli elementi strutturali ed afferisce la parte più esterna dell’edificio. Il legislatore nell’art. 1117 del codice civile la elenca esplicitamente tra i beni comuni, salvo patto contrario. La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che essa rientra nella categoria dei muri maestri, ex art. 1117 comma 1 cod. civ., e forma oggetto di proprietà comune dei diversi piani o porzione di piani riuniti in condominio (Cass. 298/1997; Trib. Torino, 3 giugno 1987). La legge n.220/2102, che entrerà in vigore il prossimo 18 giugno, ha espressamente compreso tale manufatto nelle parti comuni.

In base alla sua conformazione, la facciata imprime l’edificio di un determinato decoro architettonico, in quanto rappresenta l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dello stabile e determinano una fisionomia ed un particolare pregio artistico, dando ad esso una specifica identità (Trib. Roma Sez. V, 22-09-2011). Per tali motivi devono così ritenersi vietati e quindi lesivi, tutti quegli interventi sulla facciata che possano comportare una disarmonia dell’insieme ed un conseguente deprezzamento dell’intero stabile. Alcuni limiti più stringenti possono essere contenuti in un regolamento di condominio di natura contrattuale, il quale ben può prevedere norme che vietano qualsiasi cambiamento della facciata e dell’aspetto generale dell’edificio rispetto a quello esistente al momento della sua costruzione. In tali casi l’amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad instaurare un giudizio per la rimozione di finestre aperte abusivamente, in contrasto con il regolamento, sulla facciata dello stabile condominiale, da taluni condomini, in quanto tale atto, essendo diretto a conservare il decoro architettonico dell’edificio contro ogni alterazione dell’estetica dello stesso, è finalizzato alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.(Cass. civ. Sez. II, 17-06-2010, n. 14626).

Gli adempimenti per la coloritura di edifici di particolare pregio artistico: i limiti dell’autorizzazione paesaggistica

A seconda della differente tipologia di edificio, vi sono delle procedure diverse da seguire per effettuare la tinteggiatura della facciata. Gli edifici, se esposti alla pubblica vista, debbono soddisfare le esigenze di pubblico decoro e dell’estetica ambientale, sia per la tipologia dei materiali impiegati sulle facciate che per le tinteggiature e per gli eventuali apparati decorativi.

In tale contesto le scelte operate dai condomini sul colore delle facciata del loro edificio sono molto limitate soprattutto se trattasi di un edificio posto in una determinata zona vincolata.

Per gli interventi di coloritura delle facciate che modifichino l’aspetto esteriore degli edifici o delle loro pertinenze in zone soggette a tutela paesaggistica (Parte III del D.Lgs. 42/2004), i proprietari, per conto del proprio amministratore, devono richiedere il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica quando l’intervento ecceda i limiti della manutenzione straordinaria e alteri lo stato dei luoghi, secondo quanto stabilito dal D.Lgs. 42/2004. L’autorizzazione paesaggistica ha effetto anche quale nulla osta colore e viene rilasciata sulla base della prescritta relazione paesaggistica, accompagnata dalla scheda colore preventivamente concordata con gli uffici della sezione Tutela e Pianificazione del Paesaggio. Per tutti gli altri interventi di coloritura delle facciate, i proprietari devono richiedere il rilascio del nulla osta colore, sia quando si mantengano le tinte, sia quando vengano modificate.

Il Piano del Colore

Il Piano del Colore organizza e stabilisce le norme e le procedure da seguire per la tinteggiatura degli edifici d’epoca al fine di riqualificare l’immagine della città. Tutte le operazioni inerenti la tinteggiatura di facciate verso via o verso cortili, androni e scale di interesse storico, portici e muri di cinta, sono soggette ad autorizzazione comunale.

Il Piano del Colore prevede le scadenze entro le quali i proprietari degli edifici devono procedere al ripristino delle loro facciate. Per le facciate degli edifici storici i regolamenti possono richiedere una ritinteggiatura ogni dieci anni, ogni vent’anni per gli altri immobili che non rientrano nei centri storici.

Soggetto competente e documentazione necessaria

Il progettista che ha ricevuto mandato dall’amministratore del condominio, procede ad istruire la pratica per la richiesta del nulla osta. Ricordiamo che è indispensabile analizzare preliminarmente cosa dispone:


Regolamento edilizio comunale;
D.Lgs. 42/2004 per gli immobili sottoposti a vincoli paesaggistici.

Infatti per gli edifici siti in zone soggette a tutela paesaggistica, i proprietari dovranno


richiedere il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;
indicare preliminarmente i colori che si intendono usare e devono essere preventivamente concordare con l’ufficio competente della Soprintendenza ai Beni Architettonici e del Paesaggio.

A tale documentazione si dovrà allegare:


modello di Richiesta Autorizzazione Colore compilato e firmato dal Richiedente e dal Progettista con indicazione delle tinte e degli elementi da tinteggiare;
relazione tecnica, con precise indicazioni dell’intervento;
stralcio planimetrico del Piano comunale dei Beni culturali e paesaggistici solo per immobili soggetti a tutela;
documentazione fotografica dei manufatti oggetto d’intervento.


Fonte: Condominioweb.com

Condominio : Stalking incondominio


Il condomino-stalker deve abbandonare il proprio appartamento e mantenersi a una distanza di almeno 500 metri dagli ex vicini di casa


Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Padova, con ordinanza n. 1222/2013, che si allega, accoglie la richiesta, avanzata dal Pubblico Ministero, di applicazione della misura cautelare personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese, nei confronti del condomino indagato per il reato di cui all'articolo 612 bis cod. pen.

I precedenti giurisprudenziali 


Nel panorama giurisprudenziale condominiale l'ordinanza in analisi non costituisce una novità, essendo stata preceduta dalla sentenza della Corte di Cassazione del 7 aprile 2011, n. 20895, con la quale il reato di stalking ha fatto il proprio ingresso anche in ambito condominiale.

In tale circostanza la Corte di Cassazione ha ribadito che “il delitto di atti persecutori può essere costituito anche da due sole condotte” di minaccia o molestia. Il verbo “reiterare” manifesta, la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte; conseguentemente, è possibile dedurre che anche due condotte sono sufficienti a materializzare la ripetizione richiesta dalla norma. Con la medesima sentenza, la Corte ha inoltre precisato che il delitto è integrato anche dalla condotta molesta posta in essere nei confronti di più persone. Il reato previsto dall'articolo 612 bis può, difatti, configurarsi anche qualora gli atti arrechino offesa a diverse persone abitanti nello stesso edificio condominiale, provocando il turbamento di ciascuna di esse.

Il delitto di stalking, ex art. 612 bis c.p. 

Risponde penalmente di tale reato “ chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso al alterare le proprie abitudini di vita”. Il delitto in esame, introdotto nel nostro ordinamento a garanzia e tutela (della persona e ) della libertà morale di ciascun individuo dall'art. 7 del D. L. 23 febbraio 2009, n. 11, (convertito, con modif., dalla L. 23 aprile 2009, n. 38), può ascriversi al novero dei reati plurioffensivi in quanto il bene giuridico protetto è costituito dalla libertà personale della vittima (che si vuole sia al riparo da ogni atto invasivo della sua sfera privata), ma anche dall'incolumità individuale di chi, subendo atti molesti che provochino disagio e paura, può vedere compromessa la propria integrità psico-fisica. L'elemento oggettivo dell'illecito si fonda sostanzialmente sulla presenza di una tipica condotta ripetuta e continuativa nel tempo costituita da minacce (prospettazione di un male futuro ed ingiusto) o molestie (ossia condotte idonee ad alterare dolosamente, fastidiosamente o inopportunamente, in modo immediato ma anche mediato, la condizione psichica di una persona), tali da ingenerare un particolare stato d'animo nella vittima, causando alla stessa una rilevante condizione di disagio emotivo e psichico od il serio e giustificato timore di un'aggressione alla propria incolumità o alla sicurezza di una persona a lei legata da uno stretto vincolo familiare o affettivo, ovvero che siano tali da costringerla a modificare peggiorativamente le proprie condizioni di vita. Sul piano dell'elemento soggettivo è richiesto il dolo generico, ossia la volontà e consapevolezza dell'assillante molestatore di realizzare tali condotte persecutorie, dallo stesso intimamente ritenute idonee a provocare una delle conseguenze dannose alternativamente previste dalla norma incriminatrice. Pertanto, ai fini dell'integrazione del reato, il legislatore non ha richiesto né la sussistenza né l'accertamento di uno stato patologico nella vittima. Infine, in tema di stalking, la condotta offensiva può essere rivolta anche a più soggetti e non necessariamente ad un determinato individuo; sicché va punito per

stalking anche chi minaccia indistintamente tutti i soggetti facenti parte di un condominio. Orbene, nel caso in esame, come evidenziato dal Pubblico Ministero, il condomino indagato ha posto in essere una serie di comportamenti persecutori e molesti (aggressioni verbali, minacce ecc.) a danno di tutti i condomini, rivolti essenzialmente ad imporre il proprio “stile di vita”. Trattasi, per di più, di un recidivo reiterato specifico, già condannato per reati contro la persona, commessi anche mediante violenza, quali circonvenzione di persona incapace, minaccia, lesioni personali e resistenza.

Articolo 282 ter, c.p.p.: divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesaPer le motivazioni suddette, il G.I.P. del Tribunale di Padova ha disposto nei confronti dell'indagato l'applicazione della misura cautelare personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese e dai loro familiari, “ prescrivendogli di mantenere una distanza di almeno 500 metri dai luoghi frequentati dai denuncianti e vietando al predetto di comunicare con qualsiasi mezzo, in particolare telefono, SMS o e-mail con le persone sopra indicate”. Così disponendo, è stata applicata la misura cautelare di cui all'articolo 282 ter c.p.p.

A tal riguardo la Suprema Corte, con una precedente sentenza del 16 gennaio 2012, n. 13568, ha precisato che la misura cautelare in analisi, per effetto del D. L. n. 11/2009, ha assunto una dimensione articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle esigenze di cautela del caso concreto. L'indicazione originaria dei luoghi determinati frequentati dalla persona offesa assume significato nell'eventualità in cui le modalità della condotta criminosa si limitino ai luoghi nei quali la vittima trascorra una parte apprezzabile del proprio tempo o a quelli che costituiscono il punto di riferimento della propria quotidianità di vita.

Al contrario, qualora la condotta oggetto della reiterazione abbia i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare la stessa persona offesa, e non i luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di avvicinamento.

Fonte: Condominioweb.com

Mercato immobiliare italiano: previsioni per il 2013



RAPPORTO TECNOBORSA


PREVISIONE ANDAMENTO MERCATO IMMOBILIARE NAZIONALE NEL 2013

Il I semestre del 2013 sarà caratterizzato da una stagnazione del volume degli scambi e da una continua pressione ribassista da ascriversi essenzialmente al clima di sfiducia generalizzato dei potenziali acquirenti che, in attesa della definizione di una più saggia politica fiscale messa in atto dal nuovo governo che sia incentrata, quantomeno, sulla chiarezza delle imposte e del loro ammontare, resteranno in parte alla finestra e in parte attenderanno tempi migliori riversandosi, momentaneamente, sul mercato degli affitti. Soltanto nel II semestre 2013, a condizione che siano stati avviati i processi di ammodernamento strutturale di tutta la politica economica e fiscale sull’immobiliare e sia stata migliorata la governance dell’eurozona affinché gli Istituti di credito possano riversare parte della ritrovata liquidità a favore delle attività produttive e delle famiglie, il mercato, lentamente, riprenderà. Nelle more, chi aveva comunque programmato di investire nel mattone sarà agevolato dai prezzi delle abitazioni che, pur mantenendosi al ribasso, continueranno a garantire, in un momento di grande volatilità dei mercati, il potere d’acquisto del capitale, nonché un più che accettabile rendimento di circa il 4%, considerando che la casa rimane sempre il miglior investimento a medio
lungo termine e in Italia non è prevista alcuna bolla immobiliare in quanto la propensione all’acquisto resta elevata. Rimane ancora al Nord-Ovest la palma per le migliori opportunità d’investimento nell’ambito residenziale, uffici, commerciale e industriale e Milano è la capitale italiana dei rendimenti immobiliari: con una profittabilità del 4,4% (ai livelli di un Btp a 10 anni), il capoluogo meneghino batte Roma (3.9%) e si situa al top delle città con il rendimento migliore a livello internazionale. Intanto, il mercato delle locazioni indica, per il comparto residenziale, una sostanziale stabilità e un’offerta in aumento: il 45% degli agenti ha rilevato un incremento del numero dei contratti e, per lo stato di conservazione degli alloggi affittati, è richiesto il buono stato nella misura del 54% e l’alloggio ristrutturato nel 24%. E’ in calo il costo del denaro: i tassi d'interesse sui finanziamenti erogati alle famiglie per l'acquisto di abitazioni sono diminuiti al 3,92%, mentre quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono calati al 9,06%. A ulteriore conferma della cautela in questa delicata fase del ciclo economico va considerata anche la progressiva diminuzione dell’importo medio richiesto per i mutui, che nel mese di gennaio ha fatto registrare un ulteriore calo, attestandosi su € 127.769 contro una media di €131.445 del 2012. Rispetto al III trimestre 2012, nel IV trimestre gli spread offerti risultano stabili per i mutui a tasso variabile (+7 punti base), mentre mostrano un leggero recupero di competitività per i mutui a tasso fisso.


FIAIP : LE VENDITE


Secondo Fiaip, nel 2012 rispetto al 2011, i prezzi hanno avuto una diminuzione del 11,98% per le abitazioni, mentre il dato complessivo relativo al numero di compravendite si è attestato al –17,22%. Il mercato di tipo non residenziale ha registrato una diminuzione dei prezzi ancora del 14,89% per i negozi, del 15,27% per
gli uffici e del 15,04% per i capannoni, con una diminuzione percentuale relativa al numero di compravendite, che varia dal 20,36% per i capannoni, al 22,88% per i negozi, fino a circa il 21,93% per immobili ad uso ufficio. I dati rilevati per il 2012 indicano una percentuale uguale al 2011 per il tempo medio di vendita per
immobili ad uso abitativo dai 6 ai 9 mesi. Diminuisce rispetto al 2011 il periodo intercorso tra l’incarico e la vendita di 1-3 mesi (7%), 3–6 mesi (20%) e 6–9 mesi (33%). Aumenta considerevolmente il periodo oltre 9 mesi (39%). Solo l’1% dei contratti viene concluso entro 1 mese. Dai risultati dell’indagine per l’anno 2012 si rileva che le unità residenziali maggiormente compravendute sono per il 39% trilocali (soggiorno/cottura, 2 camere e servizi) e per il 22% bilocali (miniappartamenti); solo il 6% si riferisce a monolocali. L’ubicazione è
prevalentemente posta in zone semicentrali e lo stato di conservazione che prevale è di alloggi usati ma in buono stato (40%), seguito dalle abitazioni da ristrutturare (25%). Si rileva una diminuzione del 9% del ricorso degli extracomunitari al sistema creditizio e il conseguente aumento del pagamento con mezzi propri.
Inoltre, si evidenzia una forte diminuzione generale dei prezzi per le abitazioni in tutte le città, fatta eccezione per Taranto (-2%) che fotografa una realtà in controtendenza. La palma d’oro per la diminuzione dei prezzi degli immobili residenziali va a Perugia con la punta massima rilevata nel capoluogo umbro del -17,13%; i restanti vanno dal -5,8% di Avellino e il -14,4% di Palermo, passando per - 8% di Firenze , -8,4% di Venezia, -11,1% di Salerno, –12% di Genova, -12,8% di Udine, - 12,9% di Siena, –13% di Napoli, -13,7% di Bologna, -13,8% Torino, -14% Cagliari, -14,2% di Milano e -15% di Roma.
Alla luce di queste considerazioni, il primo semestre del 2013 sarà caratterizzato da una stagnazione del volume degli scambi e da una continua pressione ribassista da ascriversi essenzialmente al clima di sfiducia generalizzato dei potenziali acquirenti che, in attesa della definizione di una più saggia politica fiscale messa in atto dal nuovo governo incentrata, quantomeno, sulla chiarezza delle imposte e del loro ammontare, resteranno in parte alla finestra e in parte attenderanno tempi migliori riversandosi, momentaneamente, sul mercato degli affitti.
Soltanto nel secondo semestre 2013, a condizione che siano stati avviati processi di ammodernamento strutturale di tutta la politica economica e fiscale sull’immobiliare (come tra l’altro richiesto da Fiaip nel manifesto presentato alle forze politiche il 24 gennaio), e sia stata migliorata la governance dell’eurozona
affinché gli Istituti di credito possano riversare parte della ritrovata liquidità a favore delle attività produttive e delle famiglie, il mercato, lentamente, riprenderà.
Nelle more, chi aveva comunque programmato di investire nel mattone, sarà agevolato dai prezzi delle abitazioni che, pur mantenendosi al ribasso, continueranno a garantire, in un momento di grande volatilità dei mercati, il potere d’acquisto del capitale, nonché un più che accettabile rendimento di circa il 4%, considerando che la casa rimane sempre il miglior investimento a medio lungo termine per le famiglie italiane e in Italia non è prevista alcuna bolla immobiliare in quanto la propensione all’acquisto resta elevata.


RAPPORTO FEDERIMMOBILIARE


L’Indice Fiups, acronimo di Federimmobiliare, Università degli Studi di Parma e Sorgente Group Spa, indica che nel terzo quadrimestre del 2012 gli operatori immobiliari intervistati sul sentiment hanno aspettative più positive rispetto alle rilevazioni del quadrimestre precedente. Nell’ultimo anno si è passati da un atteggiamento di stabilità tendente al pessimismo a una leggera crescita e il Fiups ha recuperato dal 16,86% del quadrimestre precedente al 17,62% di quello attuale.
La cautela naturalmente è d’obbligo perché non tutti i settori dell’economia – e in particolare dell’immobiliare – registrano aspettative di crescita. Ma ci sono alcuni comparti decisamente in fase di miglioramento. Infatti, nonostante l’industria immobiliare sia ancora nel pieno della crisi economica e finanziaria, gli operatori
stanno proseguendo nella loro opera di riorganizzazione e di revisione delle strutture organizzative (il 41% circa prevede di effettuare nuovi investimenti per la propria azienda, il 51,28% intende introdurre nuovi profili nell’organizzazione mentre il 38,46% aprirà nuove linee di business). E’ un segnale sicuramente incoraggiante, soprattutto in vista di mesi ancora di stallo. A fronte di settori, come quello industriale e, per certi versi quello commerciale, in una fase negativa, altri come il residenziale, confermano la loro natura difensiva. A livello di investitori istituzionali, il sentiment vede un trend consolidato nell’ultimo semestre 2012: la volontà di effettuare investimenti, soprattutto mediante fondi ad apporto. Secondo il 37,04% del panel di
intervistati la domanda di fondi immobiliari ad apporto riservati è stabile e secondo il 25,93% è in crescita. Questo induce a ritenere probabile una riorganizzazione dei vasti patrimoni immobiliari, sia pubblici sia privati. Allocation del loro portafoglio, con maggiore attenzione alle iniziative a reddito, seppure non speculative, come uffici e spazi commerciali, a scapito del comparto residenziale con minore rendimento e
maggiori oneri di gestione. Rimane sopra il livello di guardia l’attesa per le variabili chiave relative alle compravendite, cioè andamento dei prezzi, tempi medi di vendita e sconto medio praticato, soprattutto per gli immobili industriali (il 37,93% degli intervistati li dà in moderata contrazione e il 24,14% in forte contrazione).
Rimane ancora al Nord Ovest la palma per le migliori opportunità di investimento nell’ambito residenziale, uffici, commerciale e industriale.

JONES LANG LA SALLE

Bilancio difficile per il mercato immobiliare italiano che chiude il 2012 con transazioni nel loro complesso dimezzate e con uno scarso dinamismo sulle "piazze" degli uffici a Milano e a Roma. Lo segnala Jones Lang LaSalle, in una nota dove anticipa i dati di mercato dell’anno appena concluso, con un outlook sul 2013. Il volume di investimenti ha raggiunto i 1,8 miliardi di euro a dicembre 2012, con una riduzione del 50% rispetto ai 3,9 miliardi registrati nel 2011. Di questi il 40% ha riguardato il settore uffici, il 24% gli hotel, il 16% il retail, il 2% la logistica e il 18% ha interessato progetti mixed use o con destinazioni d’uso diverse. Il restante 6% delle transazioni ha coinvolto immobili destinati ad essere ristrutturati in toto o in parte dagli
acquirenti.
Il volume totale degli investimenti (1,8 miliardi) non comprende alcuni importanti deal che non sono investimenti immobiliari in senso stretto, ma che rappresentano un segnale di vitalità nel mercato italiano. Nel 2012 si sono concentrati impatti negativi di breve e di lungo periodo che hanno condizionato pesantemente la
performance del mercato immobiliare e soprattutto gli investimenti. Nel corso dell’anno è emersa, implicitamente ed esplicitamente, l’esigenza da parte di investitore ed utilizzatori di immobili di un adeguamento dei prezzi alle nuove condizioni di mercato. Il re-pricing si traduce, nel mercato degli investimenti, in opportunità di acquisire immobili con rendimenti più elevanti e, nel mercato delle
locazioni, nell’intensificarsi dell’attività di rinegoziazione.
Anche l’assorbimento nei mercati uffici di Milano e di Roma ha sofferto, se paragonato al 2011. Questo perchè i principali business hub italiani continuano a patire l’impatto del ciclo economico sulle scelte dei corporate relative agli spazi per le proprie sedi.
La contrazione dell’assorbimento a Roma (-64% rispetto al 2011) è il risultato sia del rallentamento di attività delle Pubbliche amministrazioni, sia del ruolo assunto dalle rinegoziazioni nel mercato degli utilizzatori.
Le prospettive dell’attività di investimento per il 2013 sono giudicate tuttavia moderatamente positive, grazie anche alla presenza di alcune operazioni iniziate nel 2012. Si conferma la tendenza di mercato all’allungamento dei tempi di conclusione delle transazioni, soprattutto durante le fasi iniziali delle operazioni.


TECNOCASA

Nel primo semestre del 2012 le quotazioni dei box e dei posti auto hanno evidenziato rispettivamente un calo del 3,8% e del 5,4%. Nelle grandi città i prezzi dei box sono diminuiti del 3,8% mentre quelli dei posti auto del 5,9%. I valori più alti si registrano sempre nelle zone centrali dove comunque l’offerta di box non è elevata.
La motivazione principale che spinge all’acquisto del box o del posto auto è l’uso per la propria macchina. Infatti, uno tra gli elementi presi in considerazione da chi cerca l’abitazione per uso diretto è anche la presenza del box soprattutto in zone molto trafficate. Ci sono anche coloro che acquistano il box come investimento da mettere a reddito, ma rappresentano la minoranza. Dai dati raccolti sul totale delle
operazioni che riguardano un box, il 57,6% lo acquista e il 42,4% opta per la locazione.
Nella prima parte del 2012 il rendimento dei box nelle grandi città è stato del 5% annuo lordo. Chi vuole investire in questo segmento immobiliare deve valutare bene la zona, prediligendo quelle con scarsa possibilità di parcheggio. Sarebbe inoltre opportuno informarsi sull’esistenza di interventi edilizi di nuova costruzione che hanno in dotazione il box oppure di progetti relativi esclusivamente alla nascita di box e posti auto.

FIAIP : LE LOCAZIONI


Secondo i dati Fiaip, nel 2012 rispetto all’anno precedente, i canoni di locazione hanno subito una flessione (-5,60%) per il comparto abitativo, mentre per il commerciale la diminuzione è di circa 12-12,5% circa. Aumentano del 3,21% i contratti di locazione ad uso abitazione, mentre per quelli ad uso diverso si riscontra
una flessione di circa l’8,95% per i negozi, che diventa più sensibile per le unità immobiliari ad uso uffici e raggiunge il 14,35% per i capannoni. I tempi medi per affittare un immobile ad uso abitativo diminuiscono per il periodo inferiore al mese e diminuiscono per quello da 1 a 3 mesi e da 3 a 6 mesi; i tempi medi sono in leggera crescita per il periodo da 6 a 9 mesi.
Il mercato delle locazioni indica, per il comparto residenziale, una sostanziale stabilità e un’offerta in aumento. Il 45% degli agenti ha rilevato un incremento del numero dei contratti; la maggioranza dei contratti di compravendita e di locazione conclusi con clienti stranieri riguardano cittadini dell’Unione europea con un
aumento rispetto al 2011; si rileva una diminuzione sia per le compravendite che per le locazioni da parte degli extracomunitari. Per quanto riguarda le locazioni delle abitazioni, sono stabili i bilocali (miniappartamenti) al 38%, in aumento i trilocali al 36% con ubicazione in zone semicentrali centrali al 32% e stabili i dati per la periferia e l’estrema periferia. Per lo stato di conservazione degli alloggi affittati è richiesto il buono stato nella misura del 54% e l’alloggio ristrutturato nel 24%.

IDEALISTA.IT


Milano è la capitale italiana dei rendimenti immobiliari. Con una profittabilità del 4,4% (ai livelli di un btp a 10 anni) il capoluogo meneghino batte Roma (3.9%) e si situa al top delle città con il rendimento migliore a livello internazionale. E' quanto rilevato dall'ufficio studi di idealista.it, che ha messo in relazione il prezzo delle case dei rispettivi mercati con i canoni di locazione registrati nel 2012. Il risultato ottenuto è il rendimento annuo lordo: Milano esce vincitrice dal confronto con molte delle città delle economie più avanzate, risultando in assoluto tra le più profittevoli d'Europa, davanti alle tanto decantate Berlino (4,1%), Londra (3,4%) e Parigi (3,0%), non distante dai rendimenti dalle mete classiche dell'investimento estero, come
New York (4,7%) e Tokio (4,5%).
Sul fronte interno Milano è seconda dopo Padova (4,7%), che ha sperimentato un autentico crollo delle quotazioni nell'ultimo anno, a pari merito con Torino tra le piazze con rendimento annuo lordo da locazione più elevato. I risparmiatori possono approfittare dei prezzi in calo o comunque più negoziabili per cogliere le
occasioni che il mercato offre mettendo in preventivo un'ulteriore limatura dei prezzi nei prossimi anni, mentre gli affitti solitamente flettono in maniera meno drastica. Se un appartamento a Milano è un investimento sicuro sia per chi opera su larga scala che per i piccoli risparmiatori, questi ultimi possono scommettere con fiducia
sull'attrattività strategica di Padova, o sulle buone potenzialità di Torino per un investimento di prospettiva. Un'ipotesi che trova conferma nel calcolo del price to rent ratio, l'indice che aiuta a valutare l'investimento con criteri oggettivi. La redditività dell'investimento cala via via che questo parametro aumenta fino al
picco di Napoli (28 anni, 3,6% di rendimento).

I MUTUI

BCE


Secondo dati diffusi della Bce, a dicembre, sono in calo i tassi di interesse applicati dalle banche per i nuovi mutui casa alle famiglie. Infatti, i tassi applicati sui nuovi finanziamenti sono scesi al 3,92% contro il 4,05% del mese precedente. I tassi in Italia restano comunque superiori alla media dell’area Euro (3,41%) anche se sono inferiori a quelli di Francia (4,05%) Olanda (4,1%), Portogallo (4,39%), Cipro (5,44%), Slovacchia (4,77%). Restano stabili in Germania (2,9%).

BANCA D'ITALIA


I dati forniti dalla Banca d'Italia registrano una contrazione dello 0,9% dei prestiti al settore privato su base annua. Il dato è comunque in leggero miglioramento rispetto al -1,5% di novembre. Si conferma inoltre un andamento peggiore per quanto riguarda le imprese di quanto non avvenga per le famiglie. Nel dettaglio, infatti, i prestiti alle famiglie sono scesi dello 0,5% sui dodici mesi (-0,3% a novembre), mentre quelli alle società non finanziarie sono diminuiti del 2,2% a fronte del -3,4% del mese precedente. Se esce poco denaro dagli istituti, il flusso contrario - cioè in ingresso - si muove diversamente. A dicembre il tasso di crescita sui dodici mesi dei depositi del settore privato è aumentato al 6,9% dal 6,6% di novembre. Il tasso di crescita sui dodici mesi della raccolta obbligazionaria è invece sceso al 4,8% dal 10,6% del mese precedente. Stabili le sofferenze, con una crescita ancora sostenuta al 16,6%, dal 16,8% di novembre. In calo il costo del denaro: i tassi d'interesse sui finanziamenti erogati alle famiglie per l'acquisto di abitazioni sono diminuiti al 3,92% (4,05% a novembre); quelli sulle nuove erogazioni di credito al consumo sono calati al 9,06% (9,49% a novembre). I tassi d'interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo inferiore a 1 milione di euro sono scesi al 4,43% (4,49% nel mese precedente), mentre sono cresciuti per gli importi superiori a quella soglia: 3,15%, dal 3,06% a novembre. I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono stati pari all'1,25% (1,28% a novembre).

ABI


L'Associazione delle banche italiane rivede al ribasso le stime sulla crescita del Pil. Sono sempre più in flessione i prestiti a famiglie e imprese: la variazione annua degli impieghi è stata negativa del 3,26% a gennaio, contro il -2,5% di fine 2012. Nel rapporto mensile dell'Abi si dice che l'andamento è in linea con l'evoluzione delle principali grandezze macroeconomiche (Pil e investimenti). Ed è anche nuovo record per le sofferenze delle banche italiane. La rischiosità dei prestiti, a seguito della crisi in atto, è ancora in crescita: le sofferenze nette hanno toccato a fine 2012 quota 64,3 mld, le lorde 125 mld. In lieve aumento è il rapporto
sofferenze nette su impieghi totali, pari a 3,3% a fine 2012 (3,2% a novembre 2012; 2,7% a fine 2011). Quanto al 2013, dato che i tempi della recessione si stanno allungando, è possibile che le sofferenze aumentino ancora, ma a incidere sarà soprattutto l'andamento del Pil: dipenderà dal risultato nel primo trimestre dell'anno.
E' comunque un gennaio gelido per i prestiti delle banche italiane a famiglie e imprese. Il mese scorso, secondo le prime stime dell'Abi, c'è stata una caduta del 3,26% su base annua degli impieghi. Il rapporto dell'Abi evidenzia, inoltre, come il totale dei prestiti all'economia dati dalle banche italiane a gennaio sia pari a oltre 1.919 miliardi e sia nettamente superiore all'ammontare complessivo della raccolta pari a 1.752,8 miliardi. Quest'ultima è tornata a crescere del 2,54% a gennaio (+1,6% a dicembre), trainata dalla progressione dei depositi (+6,76% a gennaio da +6,2% a dicembre). Il balzo dei depositi che si registra da novembre viene spiegato dall' Abi con il clima di incertezza che spinge i risparmiatori a preferire la liquidità.
Emerge, inoltre, la stima di una risalita dei tassi sui nuovi prestiti alle imprese a gennaio (3,71% dal 3,5%) e alle famiglie sui nuovi mutui casa (3,75% dal 3,7%). Il differenziale tra il tasso medio sui prestiti e quello medio sulla raccolta, tuttavia, secondo l'Abi, resta a livelli vicini al minimo storico (1,71 punti base). Secondo il rapporto dell'associazione le sofferenze nette hanno toccato a fine 2012 quota 64,3 miliardi, le lorde 125 miliardi. In lieve aumento è il rapporto sofferenze nette su impieghi totali, pari a 3,3% a fine 2012 (3,2% a novembre 2012; 2,7% a fine 2011).

CRIF


Il segno negativo nella domanda dei mutui, attestatosi a -14% nel mese di gennaio, rispetto al corrispondente mese del 2012, non deve trarre in inganno in quanto proprio all’inizio del 2012 era iniziato il crollo delle richieste di finanziamenti per l’acquisto della casa. In termini assoluti, infatti, il dato di gennaio, espresso come
numero di richieste da parte delle famiglie italiane, è di gran lunga più basso rispetto alle rilevazioni registrate nel mese di gennaio di tutti gli anni precedenti. Le variazioni rispetto allo stesso mese dell’anno precedente sono indicate in valori ponderati, cioè al netto dell’effetto prodotto dal differente numero di giorni lavorativi. A ulteriore conferma della cautela adottata dalle famiglie italiane in questa delicata fase del ciclo economico va considerata anche la progressiva diminuzione dell’importo medio richiesto per i mutui, che nel mese di gennaio appena concluso ha fatto registrare un ulteriore calo, attestandosi a 127.769 euro contro una media di 131.445 euro del 2012.

CRIF MUTUISUPERMARKET.IT

Dall’ultima edizione della Bussola Mutui, il bollettino trimestrale firmato Crif e MutuiSupermarket.it, è emerso che dal lato dell’offerta i nuovi flussi di mutui erogati si riducono del 51% nei primi 9 mesi del 2012 (ultimi dati disponibili) rispetto al corrispondente periodo del 2011, evidenziando una dinamica negativa
sostanzialmente in linea con l’andamento della domanda. Si rileva una sostanziale stabilità dell’Isc (Indice sintetico di costo) medio di erogazione sia per mutui a tasso variabile che per quelli a tasso fisso dal secondo al terzo trimestre 2012; considerata la significativa riduzione degli indici di riferimento Euribor e IRS, l’andamento si spiega con il progressivo aumento degli spread applicati nel periodo da parte degli istituti
eroganti. Rispetto al terzo trimestre 2012, nel quarto trimestre 2012 gli spread offerti risultano stabili per i mutui a tasso variabile (+7 punti base), mentre mostrano un leggero recupero di competitività per i mutui a tasso fisso (-13 punti base). Inoltre, il Loan To Value (ovvero il rapporto tra l’importo medio del mutuo erogato e il valore dell’immobile a garanzia) si attesta mediamente intorno al 60%; in particolare nel III
trimestre 2012 tale valore si mostra simile rispetto all'analogo trimestre dell'anno precedente. Infine, trovano riscontro le previsioni di lieve deterioramento della qualità del credito, con il tasso di default che sale dall’1,60% del I trimestre 2012 all’1,90% del III trimestre 2012, delineando un trend previsto in ulteriore
peggioramento nei prossimi trimestri. Dal lato della domanda il 2012 nel suo complesso ha messo in evidenza la forte contrazione del numero di domande di mutui residenziali da parte delle famiglie italiane (-42% rispetto al 2011), con una attenuazione della contrazione nel IV trimestre 2012 (-34% rispetto al IV  trimestre 2011) e in particolare nel mese di dicembre (-27% rispetto al corrispettivo mese 2011). Confermato, invece, il forte calo delle richieste di surroga che nel IV trimestre 2012 rappresentano solo il 9% del totale, rispetto al 13% dello stesso periodo 2011. Sul fronte della tipologia di tasso, si conferma il trend di crescita per le richieste di mutui a tasso fisso, che passano da una quota di mercato del 10% nel I trimestre 2012 al 17% del quarto, trainati da Irs (Interest Rate Swap) che si mantengono a livelli prossimi ai minimi storici. Diminuisce ancora l’importo medio richiesto, che si attesta attorno ai 131.000 Euro, mentre
aumenta la durata dei mutui richiesti, con la classe tra 25 e 30 anni che arriva a spiegare il 46% delle preferenze nel IV trimestre 2012; nel frattempo, le richieste con durate superiori ai 30 anni tendono quasi a scomparire (1% del totale nel IV trimestre 2012), a fronte di una progressiva sospensione dell’offerta per tali durate iniziata lo scorso autunno.
Inoltre, continua l’incremento del peso della domanda da parte degli over 55, che passano a spiegare il 18% della domanda nel trimestre appena trascorso rispetto al 12% del IV trimestre 2011, dinamica determinata dalla maggiore capacità di questo segmento di fornire adeguate garanzie reddituali agli istituti di credito. Si registra anche un allargamento del cluster di domanda che presenta redditi superiori ai 1.500 euro netti mensili (e inferiori ai 2.000), che passa dal 24% del I trimestre 2012 al 31% del IV trimestre, conseguenza diretta della maggiore selezione della clientela e dell’attenzione alla sostenibilità operata da parte degli Istituti di credito. Nel complesso, la componente dei cittadini non italiani nell’intero anno 2012 ha rappresentato una quota pari all’8% del totale della domanda di mutui.

ISTAT


Secondo l’Istat nel mese di dicembre 2012 l'indice destagionalizzato della
produzione nelle costruzioni è aumentato dell'1,6% rispetto a novembre 2012. Nella
media del trimestre ottobre-dicembre l'indice ha registrato una flessione del 3,3%
rispetto al trimestre precedente.
L'indice corretto per gli effetti di calendario, a dicembre 2012, è diminuito in termini
tendenziali del 15,4% (i giorni lavorativi sono stati 19 contro i 20 di dicembre 2011).
Nella media dell'intero anno 2012 la produzione nelle costruzioni è diminuita del
14,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
A dicembre 2012 l'indice grezzo ha segnato un calo tendenziale del 18,3% rispetto
allo stesso mese del 2011. Nel confronto tra la media del 2012 e quella dell'anno
precedente la produzione è diminuita del 14%.

Fonte : TECNOBORSA