venerdì 30 marzo 2012

FIAIP : audizione alla Camera dei Deputati

Camera Deputati: Fiaip in Audizione in Commissione Ambiente e Territorio propone esenzione Imu per le giovani famiglie e liberalizzazione del mercato degli affitti

La Federazione propone l'esenzione dell' I.M.U. per le giovani famiglie, la liberalizzazione del mercato degli affitti e la diminuzione dell' invenduto attraverso una cooperazione tra Comuni-Imprese Private-Banche
Si è svolta il 27.03 u.s. a Roma presso la Commissione VIII Ambiente e Territorio della Camera dei Deputati l’audizione informale dei rappresentanti della Fiaip nell'ambito delle misure per promuovere l’accesso all’abitazione.


La Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, rappresentata dal Presidente NazionalePaolo Righi, e dal Vice Presidente Nazionale Vicario Franco D’Onofrio è stata audita dai componenti della Commissione VIII della Camera dei Deputati, presieduta dall’On. Angelo Alessandri sulle misure per promuovere l’accesso all’abitazione, ed ha avanzato una serie di proposte per la liberalizzazione del mercato dell’affitto e la diminuzione dell'invenduto attraverso l'intervento di imprese private, Comuni e Istituti di credito.

La Fiaip ha sottolineato come per favorire l’accesso all’abitazione delle famiglie si rende oggi necessario poter consentire canoni sostenibili per gli inquilini e ritorni economici sull’investimento immobiliare altrettanto remunerativi per i proprietari immobiliari.

Il tema della tassazione della proprietà non è perciò secondario. “Fiaip, per andare incontro ai cittadini, ha proposto nel corso dell’Audizione alla Camera dei Deputati un’esenzione dall’I.M.U. per le giovani coppie sotto i 35 anni, che sono già costrette a pagare le rate del mutuo”, ha dichiarato il Presidente Nazionale Fiaip Paolo Righi, il quale illustrando la sua relazione ai parlamentari ha voluto fare anche un confronto tra la normativa italiana e quella estera: “Negli altri Paesi esiste una tassazione sulle rendite reali degli immobili, mentre in Italia ci si basa su coefficienti che si alzano in base alle richieste di tasse. Il patrimonio immobiliare delle famiglie Italiane non deve essere usato come un bancomat, a cui lo Stato possa attingere in continuazione. L’eventuale introduzione di una tassa patrimoniale - continua Righi - allontanerebbe ulteriormente gli investitori, che opterebbero per investimenti all’estero, come in Germania, dove è garantito oggi un ottimo ritorno sull’investimento”.

Nell’ultimo trimestre del 2011 e ancora nel primo bimestre del 2012, secondo la Fiaip, sono aumentati gli investimenti immobiliari da parte degli investitori italiani in Germania. Il Governo tedesco tassa gli investimenti immobiliari sulla rendita prodotta ed infatti il ritorno medio sugli investimenti immobiliari in Germania è pari al 5,3% circa; mentre nel nostro Paese calcolando l’applicazione massima dell’aliquota I.M.U. da parte dei Comuni, corrisponde mediamente al 2,8 % e ciò provoca una forte incertezza negli investitori italiani ed esteri con conseguenze dirette sugli acquisti immobiliari effettuati in Italia.

In Italia, inoltre, vista la presenza sul mercato immobiliare di un stock di abitazione molto superiore alle richieste del mercato, stimata dal Centro Studi Fiaip in circa un milione e duecentomila unità immobiliari invendute negli 8.092 Comuni italiani, la FIAIP ha proposto la liberalizzazione del mercato delle locazioni, oltre al fatto che contestualmente i redditi da locazione possano essere completamente assoggettati ad aliquota fissa e non cumulabili con gli altri redditi ed ha auspicato che si mantengano le sanzioni già previste per gli affitti in nero stabiliti nella Cedolare Secca (art. 3 D.lgs.n. 23/11), con l’aggravio del reato penale.

Fiaip nel corso dell’Audizione odierna ha auspicato che il contratto di locazione possa diventare “titolo esecutivo”, affinché al termine del contratto di locazione sia disposta l’immediata esecuzione dello sfratto, e le parti possano stabilire liberamente la durata della locazione. Ad una maggior durata del contratto di locazione dovrebbe corrispondere un minor carico fiscale sul proprietario e per gli inquilini la possibilità di detrarre il canone di locazione dai redditi.

Nella relazione depositata da Fiaip al termine dell’Audizione alla Camera dei Deputati si legge come : “In questo contesto, le politiche abitative fin qui poste in essere da parte delle Amministrazioni locali, sembrano assolutamente inefficaci. Le amministrazioni Comunali continuano imperterrite a deliberare piani di edilizia agevolata, immettendo sul mercato nuove abitazioni, incuranti del fatto che le imprese edili del nostro Paese hanno in “magazzino” un milione e duecentomila immobili, invenduti, di nuova costruzione”.

“Se la situazione non cambierà – dichiara il Presidente Nazionale Fiaip Paolo Righi - nei prossimi anni aumenterà a dismisura la cementificazione del nostro Paese, con un aggravio di spese assolutamente improponibile per i bilanci dei Comuni. Bilanci che naturalmente dovranno essere ripianati con l’applicazione dell’aliquota massima dell’I.M.U., con un aggravio di costi pesantissimo per i proprietari, i quali a loro volta dovranno riversare tali costi sugli inquilini”.

Fiaip ritiene, infine, che un accordo tra Istituti di credito, Comuni e imprese private, possa liberare risorse che le banche potranno reimpiegare per finanziare nuove attività e per ridare credito ai bilanci delle famiglie Italiane.

“Il capitale finanziario che le banche hanno in questo momento immobilizzato a causa dell’invenduto corrisponde a circa cinquanta miliardi di Euro - ha sostenuto il Presidente Fiaip Paolo Righi nella sua relazione - e questi capitali saranno bloccati ancora per molto tempo, non permettendo agli Istituti, il loro impiego. Nel contempo, le Amministrazioni continuano ad investire risorse e a dissipare nuovi territori, con nuove costruzioni che oggi non servono”.

Fonte: Ufficio Stampa FIAIP

La ricerca del condominio perfetto per migliorare la vivibilità

In un anno assegnate 170 case con esiti molto positivi

Questo il risultato del progetto pilota  avviato a Reggio Emilia con successo con l’obiettivo di creare microcosmi equilibrati per migliorare la vivibilità.

La formula "matematica" del condominio ideale è la seguente: tipologia del nucleo + nazionalità + peso sociale = composizione reale della società/comunità in cui è inserito.

Il condominio ideale quindi esi­ste: il calcolo prende in considerazione anzia­nità, provenienza, ambiente e persino le "nevrosi" che ognuno di noi si porta da bambino. 
Dall'idea di rimescolare gli in­dirizzi per creare microcosmi equilibrati, è nata a Reggio Emilia, tra le stanze dell'assessorato alle politiche sociali e gli uffici dell'Acer (azienda casa dell'Emilia Romagna), la formula del condominio ideale. Un esperimento unico in Europa, che per ora inci­de nell'assegnazione delle case popolari, ma che può essere uti­lizzato per migliorare la vivibilità di strade, quartieri e città. Chiavi in mano a chi ne ha diritto; ma l'indirizzo dell'alloggio non più casuale bensì assegnato grazie a quattro nuovi parametri, messi a punto con la collaborazione del Censis e della facoltà di Psicolo­gia dell'Università di Bologna: peso sociale, tipologia delle fami­glie, distribuzione etnica e con­dizioni ambientali.

Il peso sociale misura dipen­denze, malattie psichiatriche, problemi comportamentali o sociali, attribuendo a ogni inquili­no un punteggio in base a un si­stema già utilizzato dai Servizi sociali. Facendo una semplice addizione si ottiene il peso reale, che deve essere confrontato con quello medio degli aventi diritto. Nei condomini in cui la situazio­ne è migliore della media si pos­sono inserire nuovi casi sociali, negli altri no.

Il secondo parametro è la tipo­logia delle famiglie: più varia è, meglio è. Si parte dall'analisi del­la società, cioè dal conteggio de­gli anziani, delle giovani coppie, delle famiglie monoparentali. E si cerca di riprodurre l'equilibrio pianerottolo per pianerottolo.

Procedimento analogo per la di­stribuzione etnica: ogni condominio, per facilitare l'integrazio­ne ed evitare ghetti, dovrebbe riflettere un mondo sempre più va­rio.

Infine il contesto: accessibi­lità, barriere architettoniche, ambiente salutare. Quest’ultimo parametro verifica il risultato del calcolo precedente, conferman­dolo o annullandolo.

Facciamo un esem­pio concreto.

In uno dei condo­mini studiati, dei 44 apparta­menti quasi il 55% è assegnato ad anziani soli a fronte di una percentuale ideale del 24%. Intervenire sull’edificio significa aumentare il numero di famiglie dal 9% al 31%.

Dall'edilizia pubblica a quella privata.

La formula può essere impiegata anche per riqualificare quar­tieri difficili perché, una volta fotografata la situazione, il pubblico può inter­venire recuperando alloggi da destinare a studenti o giovani coppie. O ancora si possono pre­vedere quote di edilizia agevola­ta o si può agire sui costruttori affinché realizzino appartamenti di taglio diverso e quindi destina­ti ad acquirenti differenti.

Fermo restando che, per quanto per­fetta, nessuna formula matema­tica pacificherà un'assemblea condominiale, giovani o anziani, italiani o stranieri, single o con prole, l'attaccabrighe del piano di sotto è destinato a restare l’inevitabile costante o, quantomeno, un rischio.

Fonte: la Repubblica

Novità importata dall'America : i condomini per anziani

Primo esperimento nel piemontese

Da decenni ha ormai preso piede negli Stati Uniti: l'idea è un residence che assomiglia più  a un condominio che a una casa di riposo. "Sono anni che sogniamo di realizzare un edificio come questo", spiegano i costruttori che lo realizzeranno. "Abbiamo avuto esperienze negative con un familiare in ospizio. Così abbiamo studiato il mercato: in Piemonte il 93,4% degli anziani vive in autonomia. Ma non è solo business: abbiamo creato un posto dove anche noi in futuro vorremmo vivere".

Sono già otto le richieste, su 15 appartamenti e altri 4 di futura realizzazione, alcuni anche arredabili con i propri mobili. Si tratta di persone rimaste vedove, ottantenni in gamba ma timorosi di vivere da soli. Chi abiterà al residence di Caselette avrà a disposizione un minialloggio indipendente dotato di cucinotta, letto matrimoniale o letti separati, bagno, eventualmente fruibile in sedia a rotelle, finestra o terrazzino affacciato sul verde della bassa Valsusa. Potrà avere ospiti o allontanarsi quando vorrà. Sarà come affittare un appartamento, ma con il trattamento di un hotel: ogni giorno c'è chi pulisce la stanza ed effettua il servizio lavanderia.

Ma i servizi non finiscono qui. A qualunque ora ci sarà un addetto alla reception e in caso di necessità si potrà attivare una richiesta d'aiuto con il telesoccorso. Un maggiordomo (visto che spesso i familiari non sono più presenti) accompagnerà gli inquilini a fare le commissioni o le farà al posto loro. Li porterà in ospedale per una visita, ma anche a un museo, alle lezioni dell'Univesità della Terza Età... La manutenzione, le riparazioni e le bollette, poi, sono già incluse nella rata mensile. Ognuno farà vita privata ma sarà difficile sentirsi soli: nell'area comune ci saranno la parete per le proiezioni, la sala lettura dove organizzare anche conferenze con psicologi, geriatri o nutrizionisti, i tavolini per giocare a carte, la palestra con idromassaggio e il ristorante.

"Chi lo vorrà potrà fare la spesa e cucinare in casa - spiegano i proprietari - oppure scendere al ristorante o ancora farsi portare i pasti in camera. Ma ci aspettiamo che facciano anche vita di paese, che vadano al bar o alla bocciofila e che escano qualche sera a mangiare una pizza". Proprio per questo motivo è stato scelto un piccolo centro per questo esperimento sociale, dove è più facile integrarsi con gli altri anziani che vi abitano e fare un po' vita di paese.

Naturalmente tutto ha un costo. Le tariffe cambiano a seconda del tipo di servizio che si sceglie: per il pacchetto più "leggero", che ha un servizio minimo, la rata è di 1.600 euro al mese, che lievitano fino a 3.500 se si sceglie l'all inclusive, che assicura, per esempio, spostamenti con l'autista illimitati e un mese di vacanza in un hotel convenzionato.

Fonte: la Repubblica

martedì 13 marzo 2012

Mutui ipotecari : dopo 10 mesi di continui aumenti potrebbe iniziare la discesa degli spread

Qualche istituto bancario ha già iniziato il ribasso dei tassi ed altri potrebbero seguire l'esempio.
Ad iniziare è stata Cariparma che recentemente ha deciso di ampliare il plafond dei finanziamenti destinati alle famiglie a 2,5 miliardi di euro lanciando una "Campagna Mutui casa 2012". L'istituto potrebbe essere stato il primo a rompere al ribasso la barriera dei 300 punti (3%) con un tasso variabile ottenuto sommando uno spread del 2,6% all'Euribor a 3 mesi .

Ma Cariparma non dovrebbe essere il solo a rilanciare il mercato dei prestiti per la casa. Secondo alcune indiscrezioni almeno altri due primari istituti potrebbero nelle prossime settimane dare una sforbiciata agli spread. Il dato è ancor più positivo se si considera che il segnale arriva da istituti che hanno un forte peso sul mercato dei mutui, muovendo masse ingenti, e non da banche che hanno una quota (e un impatto sul credito alle famiglie) meno significativa.

"A marzo, per la prima volta da maggio 2011, alcune banche potrebbero invertire la tedenza sugli spread diminuendoli e cercando di aprire il rubinetto del credito", conferma Stefano Rossini di MutuiSupermarket. "Il mercato si potrebbe attendere un'offerta di 30-40 punti base in meno nei prossimi 30-40 giorni. Sarebbe un primo segnale positivo che potrebbe far scattare un effetto domino al ribasso. Lo stesso effetto che, soprattutto a partire da settembre, ha spinto la maggior parte degli istituti a rialzare gli spread accodandosi ai continui rialzi praticati dalle banche price makers, quelle che di solito muovono per prime il mercato".

Non calano solo gli spread. Anche l'andamento degli Euribor - i parametri europei che, sommati allo spread applicato dall'istituto, determinano il calcolo dei tassi della maggior parte dei mutui a tasso variabili stipulati in Italia (la quota di mutui agganciata al tasso Bce è infatti inferiore al 2%) - pare confortante. L'Euribor a 3 mesi è recentemente sceso, per la prima volta dopo 13 mesi, sotto la soglia dell'1% (a fine febbraio era allo 0,991%). I future quotati sul mercato londinese Liffe (che danno la dimensione di come, secondo le aspettative attuali dei mercati, si muoverà questo indice nei prossimi 5 anni) indicano che dovrebbe continuare a scendere anche nei prossimi mesi e restare sotto l'1% per altri due anni. Dopodiché potrebbe iniziare un percorso di normalizzazione e risalire verso il 3%, che è la media storica degli ultimi 11 anni.

Ciò che risalta particolarmente però in questo momento, per gli Euribor, è l'andamento dell'indice a 1 mese - pure esso utilizzato da molti istituti per ancorare le rate dei tassi variabili - che si attesta intorno allo 0,57%. Ovvero oltre 40 punti base in meno (0,4%) rispetto al "fratello a 3 mesi". Per questo motivo, mai come in questo momento, provare a contrattare con la banca la tipologia di Euribor da ancorare al tasso del mutuo, ha davvero senso.

Basti pensare che su un mutuo di 150mila euro da rimborsare in 25 anni, 40 punti base in meno corrispondono a un risparmio di interessi di circa 6-7mila euro. Gli stessi che i nuovi aspiranti mutuatari potrebbero risparmiare cogliendo la mini-discesa degli spread che dovrebbe scattare tra breve.


Fonte : Il Sole 24 Ore

mercoledì 7 marzo 2012

Mutuo prima casa e detrazione interessi passivi

La detraibilità degli interessi passivi è attualmente consentita per i contribuenti che acquistano un immobile da adibire ad abitazione principale.

La misura consentita è pari al 19% degli interessi passivi e relativi oneri accessori, corrisposti in dipendenza di mutui ipotecari contratti per l’acquisto dell’abitazione principale, comprese le relative pertinenze.

La normativa vigente, nel corso dei vari anni ha subito diverse modifiche, con la conseguenza che le detrazioni fiscali spettano secondo limiti e modalità che variano in relazione al tipo di fabbricato (abitazione principale, abitazione secondaria, altri fabbricati non abitativi) e all’anno in cui è stato stipulato il contratto di mutuo.

Le condizioni per la detrazione degli interessi prima casa

La norma riconosce la detrazione degli interessi passivi, in dipendenza di un contratto di mutuo, che deve essere garantito da ipoteca su immobili, e non di altri contratti di finanziamento. Lo stesso mutuo, deve:

- essere stipulato nei dodici mesi antecedenti o successivi all’acquisto stesso (con esclusione del caso in cui l’originario contratto è estinto e viene stipulato uno nuovo di importo non superiore alla residua quota di capitale da rimborsare, maggiorata delle spese e degli oneri correlati);
- essere erogato da un soggetto residente in Italia (o da un non residente con stabile organizzazione in Italia) o in uno Stato membro della comunità Europea.

Ulteriore condizione è che, entro un anno dall’acquisto, l’immobile deve essere destinato dall’acquirente ad abitazione principale, intesa come dimora abituale dello stesso o dei suoi familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado). Il mancato utilizzo dell’immobile come abitazione principale causa, quindi, la decadenza dai benefici.
La detrazione non spetta, invece, all’usufruttuario in quanto non acquista l’immobile, ma acquisisce un diritto reale di godimento.

Dal 2001, la detrazione spetta anche:

- dalla data in cui l’immobile è adibito ad abitazione principale e comunque entro due anni dall’acquisto, se l’immobile è oggetto di lavori di ristrutturazione edilizia, comprovati dalla relativa concessione edilizia o da un atto equivalente;
- nel caso di acquisto di un immobile locato se, entro tre mesi dall’acquisto, l’acquirente notifica al locatario l’atto di intimazione di licenza o di sfratto per finita locazione e se, entro un anno dal rilascio, l’immobile è adibito ad abitazione principale;
- se il contribuente trasferisce la propria dimora per motivi di lavoro oppure in istituti di ricovero o sanitari, a condizione che l’immobile non sia affittato.

Il limite alla detrazione degli interessi passivi

Dal 1° gennaio 2008, la legge n. 244/2007 (Legge Finanziaria 2008) ha innalzato da € 3.615,20 ad € 4.000,00 il limite massimo degli interessi passivi pagati su mutui ipotecari stipulati per l’acquisto dell’abitazione principale.
Pertanto, il bonus massimo ottenibile in sede di dichiarazione dei redditi dal sostenimento di questi oneri è pari a € 760 (19% di € 4.000).

Tale limite si riferisce all’ammontare complessivo:

degli interessi passivi;
degli oneri accessori relativi al contratto di mutuo per il capitale preso a prestito;
delle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione.

Il limite prescinde dai soggetti contitolari del mutuo, i quali possono detrarre gli interessi solo per la loro quota. Per i mutui stipulati prima del 1993, invece, il tetto si riferiva a ciascun cointestatario.

Nel caso dell’acquisto di una abitazione principale cointestata ad una coppia di coniugi, ciascun coniuge può fruire della detrazione unicamente per la propria quota di interessi; solo se uno dei due è fiscalmente a carico dell’altro, la detrazione spetta a quest’ultimo per entrambe le quote.

Per la detrazione degli interessi passivi è rilevante la data di stipula del contratto di mutuo ed il momento nel quale il contribuente ha acquisito la propria residenza presso l’unità immobiliare che costituisce l’abitazione principale.

Per i contratti di mutuo stipulati prima del 1993, invece, le condizioni per fruire della detrazione (€ 4.000 per ciascun cointestatario), sono le seguenti:

l’unità immobiliare doveva essere adibita ad abitazione principale alla data dell’8 dicembre 1993;
nella rimanente parte dell’anno e negli anni successivi il contribuente non deve aver variato l’abitazione principale per motivi diversi da quelli di lavoro.
Per i mutui stipulati nel corso dell’anno 1993, la detrazione è ammessa a condizione che:

l’unità immobiliare sia stata adibita ad abitazione principale entro l’8 giugno 1994 (entro sei mesi dall’acquisto);
l’acquisto dell’immobile sia avvenuto nei sei mesi antecedenti o successivi alla stipula del mutuo.
Per i mutui stipulati a partire dal 1° gennaio 2001, la detrazione va calcolata su un importo massimo di € 4.000 complessivi ed è ammessa a condizione che l’immobile sia stato adibito ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto.



Il limite per la detraibilità degli interessi passivi

Gli interessi passivi sui mutui sono detraibili in proporzione al costo dell’abitazione. In particolare, nel caso in cui un contribuente contrae un mutuo che eccede il costo sostenuto per l’acquisto dell’immobile, l’agevolazione deve essere limitata all’ammontare della somma del valore dell’immobile che è stato indicato nel rogito, comprensivo delle spese notarili e degli oneri accessori.

Gli interessi passivi risultano detraibili in base al rapporto tra:
- il costo di acquisto dell’immobile;
- il capitale preso a mutuo.

Il costo di acquisto dell’immobile da considerare ai fini della detraibilità degli interessi passivi è quello risultante dal rogito notarile maggiorato degli oneri accessori direttamente imputabili all’operazione d’acquisto che comprendono:

- l’onorario del notaio relativo all’atto di acquisto dell’immobile;
- le spese di mediazione immobiliare;
- le imposte di registro e quelli ipotecarie e catastali;
- spese sostenute per eventuali autorizzazioni del giudice tutelare e quelle relative ad acquisto nell’ambito di una procedura concorsuale;
- e degli oneri accessori relativi al contratto di mutuo, ovvero:

- l’onorario del notaio relativo alla stipula del contratto di mutuo;
- la commissione spettante agli istituti per la loro attività di intermediazione bancaria;
- le spese di istruttoria e perizia tecnica;
- gli oneri fiscali (compresa iscrizione/cancellazione di ipoteca, imposta sostitutiva sul capitale prestato);
- la provvigione per scarto rateizzato nei mutui in contanti;
- maggiori somme corrisposte a causa delle variazioni di cambio relative a mutui stipulati in ECU o altra valuta estera.
Come precisato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 15/E/2005 non possono essere classificate, invece, come oneri accessori le spese per l’assicurazione dell’immobile richiesta dalla banca per stipulare il contratto di mutuo.

Documentazione necessaria

Per beneficiare della detrazione è necessario che il contribuente abbia conservato i seguenti documenti:

- copia del contratto di mutuo dal quale risulta che il finanziamento è stato concesso per l’acquisto dell’abitazione principale;
- copia dell’atto di compravendita dell’immobile e relativi oneri accessori;
- quietanze di pagamento degli interessi passivi e relativi oneri accessori e quote di rivalutazione. 

Il contribuente dovrà, inoltre, dimostrare l’utilizzo dell’immobile quale abitazione principale, tramite:
- le risultanze dei registri anagrafici;
- l’autocertificazione, nel caso in cui il contribuente deve dimostrare che la propria dimora abituale è diversa da quella indicata nei registri anagrafici.
 
In caso di separazione dei coniugi la detrazione degli interessi passivi sul mutuo cointestato spettano a chi ha la proprietà esclusiva dell'immobile

Detrazione interessi su mutuo cointestato - Precisazioni

Mutuo comunione dei beni – Il contribuente può  abitare in un luogo diverso da quello in cui ha ufficialmente la residenza, ovvero il Comune nelle cui liste anagrafiche risulta iscritto, ed è eventualmente ammessa l’autocertificazione di una dimora abituale diversa dalla stessa residenza. Infatti in caso di acquisto di abitazione principale da parte di coniugi in regime di comunione dei beni con stipula di un contratto di mutuo cointestato, la detrazione non viene meno se uno dei due coniugi ha una diversa residenza anagrafica. Se la diversa residenza anagrafica del coniuge corrisponde anche ad una diversa dimora abituale, rispetto all’immobile oggetto di compravendita, la detrazione spetta comunque a condizione che l’immobile venga adibito ad abitazione principale di un suo familiare. Non è quindi richiesto che sia il proprietario a dimorarvi abitualmente in prima persona.

Gli interessi passivi sul mutuo ipotecario stipulato per l’abitazione principale da entrambi i coniugi comproprietari dell’immobile possono essere detratti interamente dal coniuge che , a seguito di separazione, è diventato proprietario esclusivo dell’immobile. La condizione è che si sia accollato le residue rate di mutuo, ancorché non sia intervenuta alcuna modifica del contratto stipulato con l’istituto di credito erogante, e che pertanto continua ad essere cointestato ai coniugi. L’accollo deve essere formalizzato con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, e le quietanze relative al pagamento degli interessi devono essere integrate dall’attestazione che l’intero onere è stato sostenuto dal coniuge proprietario, anche per la quota riferita all’ex coniuge. L’altro coniuge invece, seppure anche esso titolare del contratto di mutuo, avendo ceduto l’immobile, non ha più diritto alla detrazione degli interessi.

Fonte: Fisco e Tasse

La donazione è soggetta ad imposta anche in assenza di atto scritto

Il presupposto della tassazione è dato dal trasferimento di un diritto o dalla titolarità di un bene, non avendo alcuna rilevanza l’osservanza della forma
Con la sentenza 634 del 18 gennaio la Corte di Cassazione, ha confermato l’assoggettamento al prelievo fiscale della donazione anche se priva della forma scritta,ad substantiam, richiesta dall’ordinamento civile.

Il fatto

A seguito delle risultanze prodotte da un precedente processo penale, gli uffici finanziari hanno rilevato che a due fratelli era stata donata, dal nonno, un’ingente somma di denaro e oro puro.
La mancata denuncia dell’atto di liberalità ha fatto scattare l’accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate e l’applicazione delle relative sanzioni.
Contro l’avviso di accertamento, i due contribuenti si sono rivolti al giudice tributario.

In primo grado, il ricorso è stato rigettato, mentre in appello il giudice di merito ha accolto le pretese dei due fratelli, annullando l’atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria.
In particolare, la Ctr aveva escluso, in punto di diritto, la sussistenza dei presupposti dell’imposta sulle donazioni, in quanto la donazione stessa non si sarebbe perfezionata per difetto dei requisiti di forma previsti a pena di nullità dall’articolo 782 del codice civile e per la mancanza di un valido atto di accettazione.

Contro la sentenza di secondo grado, l’Agenzia delle Entrate è ricorsa per Cassazione con conseguente presentazione di controricorso incidentale da parte dei due contribuenti.

La decisione del Collegio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 634 del 18 gennaio, ha ribadito, come affermato dalla precedente giurisprudenza, il principio secondo il quale deve essere assoggettata a prelievo fiscale la donazione anche se posta in essere in mancanza di forma scritta. Il fine dell’interpretazione è quello di evitare eventuali comportamenti elusivi.

Uno dei motivi del ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate è la decisione della Ctr in merito alla nullità dell’atto di donazione perché non presentava la forma scritta, ad substantiam, come richiesto dall’ordinamento civilistico, che avrebbe portato poi al conseguente venir meno dell’obbligo del pagamento dell’imposta dovuta all’erario.

La Corte di Cassazione, accogliendo le richieste dell’Amministrazione finanziaria, ha chiarito che la nullità della donazione per carenza di forma scritta o per mancanza di accettazione della liberalità da parte dei beneficiari non fa cadere la pretesa impositiva da parte del Fisco.

In particolare, come già affermato dal Collegio in precedenti sentenze, "Il presupposto per l'applicabilità dell'imposta sulle donazioni va individuato, giusto quanto previsto dall'art. 1 del d.lgs. n. 346 del 1990, nel trasferimento per scopo di liberalità di un diritto o della titolarità di un bene senza che abbia rilevanza alcuna l'inosservanza della forma dell'atto pubblico, richiesta a pena di nullità dell'art. 782 cod. civ., per l'atto di donazione e la sua accettazione".
Pertanto, anche nel caso in cui l’atto di liberalità avvenga tra consanguinei e la donazione abbia a oggetto denaro e/o beni mobili e avvenga in assenza di atto pubblico (sia per la donazione che per la relativa accettazione), la dazione deve essere assoggettata a tassazione (Cassazione 22118/2010, 2698/2002 e 7340/2011).

I giudici di legittimità avvertono che l’eventuale scostamento nella decisione da quanto ormai consolidato in dottrina produrrebbe delle prassi elusive, infatti, "basterebbe effettuare le donazioni mediante semplice cessione di fatto dei beni e senza alcuna formalità, per sfuggire al prelievo", comportamento contrario al principio di effettività dell’imposizione in ragione della capacità contributiva, ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione (sentenza 30055/2008).

Alla luce di quanto esposto, appare evidente che l’intero impianto giuridico, sul quale la Ctr aveva basato la sentenza oggetto di ricorso da parte dell’Agenzia delle Entrate, risulta essere mancante per il fatto che i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto che la mancanza della validità dell’atto di donazione, in quanto priva della forma scritta, avrebbe portato alla conseguente carenza della legittimazione della pretesa impositiva da parte dello Stato. Pertanto, alla luce di quanto riportato nella copiosa giurisprudenza, anche nella fattispecie concreta sottoposta a giudizio di legittimità, uno scostamento interpretativo andrebbe a "mostrare il fianco" a eventuali comportamenti elusivi da parte di quei contribuenti che volessero sottrarre alla tassazione ingenti quantità di denaro simulando l’atto di liberalità.

Fonte: Fisco Oggi

Per i canoni di locazione commerciale non percepiti: no al rimborso Irpef

La Corte di Cassazione riconosce la non tassabilità solo per il periodo successivo allo sfratto per morosità. Fino a tale data devono essere dichiarati anche se non sono stati incassati

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 651 del 18 gennaio, inserendosi in un contrastante orientamento giurisprudenziale, ha stabilito che il proprietario-locatore di un locale commerciale non ha diritto al rimborso Irpef relativo ai canoni di locazione non percepiti. Ciò anche se ha ottenuto lo sfratto per morosità del conduttore. Infatti, la tassazione del reddito locativo è agli specifici fini collegata alla mera maturazione del diritto di percezione di un reddito.

Il fatto
Un contribuente si è visto accogliere dalla Commissione tributaria provinciale adita la richiesta di rimborso dell’Irpef versata per la locazione di un immobile a uso commerciale, fondata sul fatto che, in realtà, i canoni non erano mai stati percepiti (l’interessato, a seguito mancato pagamento, aveva chiesto e ottenuto dal giudice civile lo sfratto per morosità).

La Commissione regionale ha, invece, accolto l’appello dell’ufficio, affermando che l’istanza di rimborso era stata proposta oltre il termine di decadenza previsto all’epoca dall’articolo 38 del Dpr 602/1973 e che la possibilità di non dichiarare i redditi da locazione non percepiti, in base all‘articolo 8 della legge 431/1998, riguardava i soli contratti di locazione a uso abitativo e non anche a uso commerciale, così come stabilito dalla sentenza 362/2000 della Corte Costituzionale.

Il contribuente ha quindi proposto ricorso di legittimità, sostenendo, tra l’altro, con specifico riferimento alla sentenza della Cassazione n. 6911/2003, che i canoni non percepiti non possono in ogni caso costituire base imponibile di qualsivoglia imposta.

La convalida dello sfratto per morosità

Si premette che la regola generale fissata dal Tuir (articolo 23 del Dpr 917/1986, nel testo vigenteratione temporis) prevede che i canoni di locazione devono essere dichiarati, a prescindere dal fatto se siano stati incassati o meno.
Il legislatore, però, con l’articolo 8, comma 5, della legge 431/1998, ha introdotto un’eccezione al principio generale in base al quale i canoni di locazione sono assoggettati a tassazione indipendentemente dalla loro percezione. Infatti, in base alla suddetta deroga, i canoni non percepiti non concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente a condizione che la morosità del locatario risulti dal provvedimento di convalida dello sfratto per morosità.
Al riguardo, il ministero delle Finanze (circolare n. 150/1999) ha precisato che il locatore può non dichiarare i canoni di locazione previsti dal contratto e non riscossi soltanto dal periodo d’imposta in cui ottiene il provvedimento giurisdizionale, a norma dell’articolo 663 cpc ovvero dell’articolo 665 del codice penale.

Motivi della decisione
 
Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione, prendendo posizione su una tematica non pacifica, ha respinto la censura del ricorrente, affermando sostanzialmente che la tassazione del reddito locativo è agli specifici fini collegata alla mera maturazione del diritto di percezione di un reddito.
Sull’argomento si contendono il campo due opposti orientamenti giurisprudenziali:

- il primo, che fa capo alla sentenza 6911/2003, afferma che, in tema di determinazione del reddito dei fabbricati, l’articolo 35 del Dpr 597/1973, laddove stabilisce che il reddito lordo effettivo è costituito dai canoni di locazione risultanti dai relativi contratti, deve essere interpretato nel senso che esso riguarda soltanto i criteri applicabili per la revisione della rendita catastale e non può essere invocato nella diversa ipotesi di tassazione del reddito effettivo di un immobile
- il secondo, propugnato dalla successiva pronuncia 12095/2007, sostiene invece che il solo fatto dell’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idoneo, di per sé, a escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef (articolo 23, Dpr 917/1986), salvo che non risulti la volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva (Cassazione 24444/2005).
La Corte Costituzionale aveva precisato in merito che, poiché si può parlare di canoni di locazione solo in presenza di un contratto, se questo viene a cessare per una qualsiasi causa di risoluzione, non si può configurare l’esistenza di un canone dal quale si genera una base imponibile ai fini delle imposte sui redditi (sentenza 362/2000).

Con la sentenza 651/2012, dunque, la Corte di legittimità non esita ad accogliere la seconda opinione, decidendo, pertanto, che i canoni di locazione devono essere dichiarati fino alla data in cui è intervenuta la risoluzione del contratto, anche se non incassati (la morosità del locatario risulta dal provvedimento di convalida dello sfratto per morosità).

Fonte: Fisco Oggi

In caso di vendita di case sottocosto è legittimo l’induttivo ai fini Iva

La Corte di cassazione ha riconosciuto valida la rettifica operata dall’ufficio quando lo scostamento dei valori riportati in atto rispetto a quelli rilevati è supportato anche da una serie di altri elementi

Risulta quindi legittimo l’accertamento induttivo in materia di Iva avente a oggetto la contestazione di operazioni di natura immobiliare sulla base dell’incongruenza tra i ricavi contabilizzati e quelli ritraibili dalle effettive condizione di esercizio della specifica attività, in presenza di elementi presuntivi che, se considerati nel loro complesso, appaiono idonei a sostenere la pretesa tributaria.

Questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1972 del 10 febbraio.

Il fatto

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società immobiliare: l’atto impositivo aveva a oggetto il recupero a tassazione di maggiori elementi positivi, oltre alla relativa imposta sul valore aggiunto, determinati come differenza tra i maggiori ricavi accertati in relazione alla cessione di tre unità immobiliari rispetto a quelli contabilizzati dalla società.

Il contribuente proponeva ricorso contro l’avviso di accertamento, rigettato sia in primo che in secondo grado.

In particolare, la Ctr Lombardia avallava la tesi dell’ufficio ritenendo l’avviso di accertamento legittimo sulla base di una serie di elementi di natura presuntiva rilevati in sede istruttoria.

In primo luogo, il collegio di merito riteneva significativo ai fini della rettifica lo scostamento tra i valori di cessione degli immobili recati nei diversi atti rispetto a quelli obiettivamente rilevati, per epoca e zona, dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare.

I giudici rilevavano, altresì, un’altra serie di elementi gravi: il costo di costruzione dei tre immobili venduti, al netto del costo per la manodopera, era di poco inferiore al prezzo di vendita al lordo delle imposte; l’importo dei mutui contratti dagli acquirenti per l’acquisto dell’immobile era superiore al prezzo di acquisto dichiarato in atti e, infine, vi era incoerenza assoluta tra gli stessi prezzi dichiarati, non congrui rispetto alla tipologia e alla metratura degli appartamenti.

Contro la sentenza di secondo grado, il contribuente proponeva ricorso in Cassazione per violazione del disposto di cui all’articolo 39, comma 1, Dpr 600/1973, lamentando che l’ufficio avrebbe trasformato in piena prova il metodo induttivo di valutazione, "il tutto in contrasto col principio comunitario del "corrispettivo" e dando credito a semplici congetture, quali quelle desunte dalle analisi statistiche dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare o da elementi esterni sfuggenti come i mutui stipulati dai compratori"; inoltre, la Ctr non avrebbe valutato correttamente né le insindacabili scelte imprenditoriali sulla convenienza dei prezzi né l’entità reale dei mutui dei compratori.

La Corte di Cassazione, ritenendo il ricorso attinente, più che ad aspetti di diritto, a profili valutativi di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito, dichiarava il ricorso proposto dal contribuente inammissibile.

La decisione

Con l’ordinanza in commento, i giudici di Cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente, reo di aver venduto degli immobili per un valore ben al di sotto del prezzo di mercato, considerando, altresì, la presenza di ulteriori elementi gravi e concordanti tali da legittimare l’utilizzo da parte dell’ufficio accertatore del metodo induttivo previsto all’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973 (ai fini delle imposte dirette) e all’articolo 54 del Dpr 633/1972 (ai fini dell’imposta sul valore aggiunto).

Nella motivazione, la Suprema Corte ripercorre l’operato dei giudici di merito osservando che il contribuente, in entrambi i gradi di giudizio, non aveva contestato l’applicazione o l’interpretazione di norme di legge, bensì la valutazione degli elementi di fatto emersi nel corso dell’istruttoria circa l’affermata inattendibilità dei corrispettivi risultanti dagli atti di vendita, ossia "il forte scostamento rispetto alle risultanze dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, l’esiguità dell’utile contabile dell’intera operazione … rispetto ai rilevanti costi contabilizzati …, la ricostruzione comparativa degli importi mutuati dai compratori rispetto ai costi finali d’acquisto (comprensivi di oneri fiscali, notarili, di mediazione, etc)".

Considerati gli elementi di fatto, certamente non contestabili dal contribuente, i giudici di legittimità hanno convalidato l’operato della Ctr sul presupposto che è valido l’operato dell’ufficio che procede alla rettifica della dichiarazione qualora "vi siano condotte non economicamente giustificate quali l’antieconomicità di comportamenti imprenditoriali che il contribuente non spieghi in alcun modo (cfr. Cass. n. 26635/08) e siano in conflitto con i criteri della ragionevolezza (Cass. n. 13915/09, Cass. n. 26635/08, n. 10649/01)".

Pertanto, è legittima la rettifica dei ricavi contabilizzati e dichiarati dal contribuente qualora questi non dimostri in maniera ragionevole lo scostamento tra tali valori e quelli desumibili dalla banca dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI), che costituisce una rilevante e attendibile fonte d’informazioni relative al mercato immobiliare nazionale, il tutto in presenza d’incongruenze intrinseche (prezzi/mq) ed estrinseche (mutui).

Il punto cruciale del ragionamento dei giudici di seconde cure, avvalorato in sede di legittimità, è la corretta valorizzazione di tutti gli elementi presuntivi emersi nel corso della verifica fiscale ai danni del contribuente, quindi non il solo e semplice scostamento tra il valore normale di vendita degli immobili e il minor prezzo applicato, i quali "tra loro associati, sono astrattamente idonei a sostenere la pretesa tributaria in sede contenziosa".

A tal riguardo, il contribuente lamentava violazione del principio comunitario del "corrispettivo" in materia di tributi armonizzati, secondo cui la base imponibile ai fini Iva di un’operazione non può che essere data, salvo casi tassativamente previsti, dal corrispettivo versato o da versare al fornitore.

Il principio del "corrispettivo" evocato dal ricorrente e confermato anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia prevede che, seppur è legittimo correggere l’imponibile ai fini Iva laddove esistano prove o indicazioni che il pagamento reale effettuato differisce da quello dichiarato, non può essere addotto come prova per la rettifica della dichiarazione il solo fatto che l’ammontare dichiarato dell’immobile sia più basso del valore di mercato.

Il principio de qua ha trovato pieno riconoscimento in Italia: il legislatore nazionale, infatti, con l’articolo 24 della legge comunitaria 2008 ha abrogato la norma di cui all’articolo 54, comma 3, secondo periodo, del Dpr 633/1972, con la conseguenza che gli uffici non possono più svolgere rettifiche di tipo analitico soltanto sulla base del valore normale degli immobili, cioè sui valori OMI.

La Corte di Cassazione, pronunciandosi in maniera netta e univoca sull’argomento, sancisce che l’operato dei giudici nazionali non vìola alcun principio "di diritto nazionale o comunitario, atteso che l’armonizzazione di tributi sulla cifra d’affari non pone barriere alla potestà accertativa domestica, anche in funzione antielusiva e con il solo basarsi anche su presunzioni semplici per la prova a carico del fisco."


Fonte: Fisco Oggi

Fondo Kyoto per l'energia e l'ambiente

Pubblicata sulla GU la circolare Cassa Depositi e Prestiti con i finanziamenti per l'ambiente

Sul supplemento straordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 51 dell'1 marzo 2012 è stata pubblicata la Circolare del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 16 febbraio 2012 recante la Circolare attuativa, ex articolo 2, comma 1, lettera s), del decreto del 25 novembre 2008 "Disciplina delle modalità di erogazione dei finanziamenti a tasso agevolato ai sensi dell'articolo 1, comma 1110-1115, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 - Fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto".

Con il nuovo Fondo è possibile ottenere finanziamenti agevolati, con un tasso fisso di interesse annuo stabilito, con Dm Finanze 19 novembre 2007, nella misura dello 0,5% e la durata dei finanziamenti è compresa fra 3 e 6 anni (tra 3 e 15 anni solo per i soggetti pubblici).

Possono accedere ai finanziamenti:

· le persone fisiche;

· le imprese, comprese le EsCo (Società di servizi energetici);

· le persone giuridiche private;

· i soggetti pubblici;

· i condomini.


La circolare, che arriva con quasi cinque anni di ritardo rispetto ai tempi previsti, era stata già preannunciata nel corso della Conferenza stampa del 16 febbraio scorso presso la sede della Cassa depositi e prestiti per la presentazione ufficiale del meccanismo relativo al Fondo rotativo per Kyoto. Ma vediamo cosa dice.



Cos’è il Fondo Kyoto

Il Fondo Kyoto è stato istituito dalla Legge finanziaria 2007 per finanziare la realizzazione di interventi in attuazione dei dettami del Protocollo di Kyoto (1997), il trattato internazionale che fissa le linee guida per la riduzione delle emissioni inquinanti responsabili del riscaldamento globale.
Le modalità per l'erogazione dei finanziamenti sono state definite dal Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico.
Le risorse sono pari a € 600 milioni – distribuiti in tre annualità da € 200 milioni l’una. Il Fondo è gestito dalla Cassa depositi e prestiti (CDP).
 
A chi è rivolto
 
Il Fondo si rivolge a cittadini, condomini, imprese (tra cui le ESCo – Energy Service Company), persone giuridiche private (comprese Associazioni e Fondazioni), soggetti pubblici. Il Fondo è “rotativo”, cioè alimentato attraverso le rate di rimborso delle erogazioni concesse.
 
Cosa finanzia
 
Il Fondo Kyoto finanzia interventi a livello regionale e nazionale. 

Gli interventi finanziabili con il Fondo Kyoto a livello regionale sono: 

- microcogenerazione diffusa: installazione di impianti che utilizzano gas naturale, biomassa vegetale solida, biocombustibili liquidi di origine vegetale, biogas e in co-combustione gas
naturale-biomassa quali fonti energetiche (microcogeneratori ad alto rendimento con potenza nominale fino a 50 kWe) ;
 
- installazione di impianti da fonti rinnovabili per la generazione di elettricità o calore (eolico tra 1 kWp e 200 kWp, idroelettrico tra 1 kWp e 200 kWp, solare termico fino a 200 m², caldaie a pellets o cippato tra 50 kWt e 450 kWt, fotovoltaico negli edifici tra 1 kWp e 40 kWp);
 
- risparmio energetico e incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia (interventi sull’involucro di edifici esistenti, come isolamento termico, sostituzione finestre, ecc; teleriscaldamento da impianti di cogenerazione fino a 500 kW; impianti geotermici a bassa entalpia fino a 1 MW; impianti di cogenerazione a biomasse fino a 5 MW).
 
E’ possibile presentare un unico progetto di investimento che contempli l’integrazione di più interventi, comunque combinati, da realizzarsi nello stesso sito (sistema integrato).
 
Gli interventi finanziabili con il Fondo Kyoto a livello nazionale sono dati invece dalle seguenti misure:
 
· la misura motori elettrici (sostituzione di motori elettrici industriali con potenza nominale superiore a 90 kW elettrici, con motori ad alta efficienza);

· la misura protossido di azoto (interventi sui cicli produttivi delle imprese che producono acido adipico e delle imprese agro-forestali);

· la misura ricerca (attività di ricerca precompetitiva per lo sviluppo di tecnologie innovative per la produzione di energia da fonti rinnovabili, per la produzione e separazione e accumulo di idrogeno, per lo sviluppo di materiali, componenti e configurazioni innovative di celle a combustibile);

· la misura gestione forestale sostenibile (progetti regionali che presentano la finalità di identificare interventi diretti a ridurre il depauperamento dello stock di carbonio nei suoli forestali e nelle foreste).
 
Agevolazioni
 
I finanziamenti sono a tasso agevolato (0,50% annuo) per una durata massima di 6 anni (15 per i soggetti pubblici), rimborsabili in rate semestrali.
Le banche aderenti potranno concedere un finanziamento per la quota parte del costo totale del progetto che non è coperta dal finanziamento agevolato.
 
Come si accede ai finanziamenti
 
Le domande di ammissione al finanziamento agevolato possono essere presentate dal 15° giorno successivo alla data di pubblicazione della Circolare Kyoto sulla Gazzetta Ufficiale. Il termine ultimo è il 135° giorno (quindi dal 16 marzo 2012 e sino al 14 luglio 2012) .
Le domande devono essere compilate esclusivamente online, previo accreditamento all’interno di un’apposita sezione del sito di CDP (www.cassaddpp.it), nel quale è anche disponibile una “Guida alla compilazione della domanda di ammissione all’agevolazione”.Il beneficiario deve quindi recarsi presso una delle banche aderenti alla Convenzione ABI-CDP, il cui elenco è disponibile sull’Applicativo web CDP (www.cassaddpp.it) per gli ulteriori adempimenti e la stipula del contratto di finanziamento.
 
Le Regioni Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte si occuperanno direttamente della fase istruttoria, attraverso Enti di sviluppo o società finanziarie regionali.
 
FONDO KYOTO: LE TAPPE OPERATIVE IN SINTESI
 
Dal 16 febbraio 2012 - Attivazione supporti informativi:
- numero verde 800 098 754
- posta elettronica cdpkyoto@cassaddpp.it
- sezione sito CDP, www.cassaddpp.it, dedicata
 
1 marzo 2012 - Pubblicazione della Circolare Kyoto in Gazzetta Ufficiale
 
Dal 2 marzo 2012 - Accreditamento dei beneficiari mediante applicativo web disponibile sul sito www.cassaddpp.it
 
Dal 16 marzo 2012 - Presentazione delle domande di finanziamento agevolato on line mediante applicativo web disponibile sul sito www.cassaddpp.it
 
14 luglio 2012 - Termine della presentazione delle domande di finanziamento agevolato
 
La Circolare fornisce il necessario dettaglio delle procedure da seguire e della documentazione da presentare ai fini dell'ammissione ai finanziamenti agevolati relativi al Primo Ciclo di Programmazione da 200 mln di euro.

Nelle pagine riservate dalla Cassa Depositi e Prestiti al Fondo vengono anche dettagliatamente trattati gli interventi finanziabili, la cumulabilità, il calcolo del finanziamento, le procedure di finanziamento e vengono allegati la guida alla compilazione della domanda, il Vademecum, i riferimenti normativi e la convensione ABI-CDP.

 
Fonte: Governo.it, Cassa Depositi e Prestiti