lunedì 27 giugno 2011

Affitto e abitabilità nella locazione commerciale

Locazione valida a determinate condizioni

Il locatore ha l'obbligo di ottenere il certificato di abitabilità per dare in affitto una unità immobiliare a uso commerciale, ma la mancanza del documento non ostacola la costituzione del rapporto di locazione se il conduttore ne era a conoscenza o se lo stesso ha utilizzato il bene secondo la destinazione d'uso convenuta.

La Cassazione (sentenza 12286/2011) si è nuovamente pronunciata in materia ribadendo che, in linea di principio, se mancano (e non sono ottenibili) le autorizzazioni o le concessioni amministrative che condizionano la regolarità dell'immobile sotto il profilo edilizio (in particolare l'abitabilità) e la sua idoneità all'esercizio di attività commerciale, ciò costituisce un grave inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 1578 del Codice civile, a meno che il conduttore fosse a conoscenza della situazione dell'immobile e non l'avesse consapevolmente accettata.


Le eccezioni da parte del conduttore possono riguardare, pertanto, vizi che diminuiscono, in modo apprezzabile, l'idoneità del bene all'uso pattuito, salvo che si tratti di vizi a lui noti o facilmente conoscibili (articolo 1578 del Codice civile). E il mancato rilascio di tali concessioni relative alla destinazione d'uso di un bene non è di ostacolo, di per sé, alla valida costituzione del rapporto di locazione purché vi sia stata da parte del conduttore concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d'uso convenuta.

Altrimenti, il proprietario è responsabile della mancata regolarizzazione urbanistica qualora la destinazione particolare dell'immobile costituisca il contenuto «dell'obbligo specifico dello stesso locatore di garantire il pacifico godimento dell'immobile in rapporto all'uso convenuto». 

Così con la sentenza 14772/2009, la stessa Cassazione aveva rigettato il ricorso di un conduttore. Quest'ultimo aveva stipulato un contratto di locazione per uso laboratorio odontotecnico, mentre in realtà il bene aveva come destinazione d'uso quella di "magazzino", deducendo poi di non aver potuto utilizzare l'immobile perché, in caso contrario, sarebbe andato incontro a sanzioni amministrative previste dal regolamento comunale di igiene che prevedeva, per lo svolgimento dell'attività artigiana, un'apposita autorizzazione comunale subordinata alla verifica dell'idoneità dei locali.

Il proprietario, al contrario, aveva evidenziato che il conduttore non solo era a conoscenza dei problemi inerenti la regolarizzazione sotto il profilo urbanistico sin dalla sottoscrizione del contratto, ma, soprattutto, che egli aveva utilizzato il bene senza dedurre né provare che alcuna lesione era avvenuta al pacifico godimento del bene, per cui il ricorso venne rigettato.

In assenza di tale violazione, ma anche di tali concessioni/autorizzazioni, i giudici di legittimità ritengono irrilevante la circostanza secondo cui il conduttore abbia, in seguito, proposto la domanda di concessione in sanatoria perché – secondo la sentenza 12286/2011 – «la domanda di risoluzione del contratto può essere proposta soltanto dopo che il provvedimento autorizzatorio sia stato definitivamente negato unicamente quando il conduttore sia a conoscenza della situazione dell'immobile alla data della conclusione del contratto o ne abbia accettato il rischio, non dichiarando l'uso al quale intende destinare i locali o manifestando di voler accettare l'immobile nello stato di fatto e di diritto in cui si trova». 

Qualora il certificato non sia ottenibile, infatti, si ha una situazione grave di inadempimento del locatore a fronte della quale il conduttore può richiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno (Cassazione, sentenza 8409/2006)

Fonte: Il Sole 24 Ore

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